«In questa epoca – dice don Luca Ciotti – c’è proprio bisogno di laici di Azione Cattolica che abbiano lo sguardo complessivo. Direi loro di non pensare ognuno al proprio orticello, di avere il coraggio di uno sguardo di insieme e dentro questo inventare proposte nuove, di avere uno sguardo sull’Europa».
Nell’agosto del 2013 andai a Palermo con don Luca per raggiungere i giovani in vacanza tra i “confini” e le periferie della città. A qualche centinaio di metri sopra il mare si addormentò reduce da un mese a Santa Caterina di Valfurva con i giovani. Le notti alla casa della Benedicta di Santa Caterina, sono una cascata di domande, riflessioni, scherzi, dubbi che i giovani fanno togliendoti il riposo dalla pelle. Lo ricordo «non per essere nostalgici – direbbe don Luca – ma generativi».
Campo di Fossoli, Monaco, Solothum in Svizzera, la chiesa di don Puglisi e il quartiere Zen a Palermo, Santa Margherita Ligure e, per molti anni, tra i poveri emarginati, scartati, nelle vie del centro di Milano con i giovani.
Il decalogo fotografico che don Luca consegna ai giovani dell’Azione cattolica ambrosiana è ricco di sorprese, di viaggi ai confini, dove ha accompagnato tutti alla scoperta del viaggio più lungo e importante che, quale paradosso, è il viaggio più breve: parte dalla testa per arrivare al cuore.
In Azione cattolica per dieci anni, don Luca ha conosciuto diversi arcivescovi – C.M. Martini, Tettamanzi, Scola e Delpini – ma un solo cammino pastorale. «Sulla Regola di vita Martini diceva tre cose – dice don Luca -, Tettamanzi due e Scola una. Le tre cose di Martini sono gli appigli in parete: preghiera, condivisione e servizio. Ci vogliono tre appigli, e un quarto mobile, per potersi muovere sulla parete della vita, cioè la possibilità di aggrapparsi con la preghiera, la condivisione e il servizio. Sono anche le tre sottolineature dei giovani dell’Azione Cattolica che ti permettono di stare in parete, salire, andare verso l’alto. L’immagine di Pier Giorgio Frassati in cima alla montagna dice questo. Tettamanzi due, ovvero la Regola di vita è un po’ come i binari di un treno che danno la direzione, sembra che ti costringa, ma il treno senza binari non va da nessuna parte. I due binari sono la condizione di possibilità per l’esercizio della libertà. Scola una cosa. Diceva che Gesù è il centro affettivo attorno al quale dirigere, far ruotare tutta la vita. Di Delpini più che un’indicazione pastorale, c’è il fatto che ha sempre voluto bene, e sostenuto, l’Azione Cattolica. L’ultima volta lo accompagnai al Cenacolo, diceva che era contento di questa iniziativa inserita dentro il Sinodo dei giovani. Ovvero discernimento, fede e vocazione. Mi sento molto in sintonia con l’arcivescovo, soprattutto per l’attenzione dell’Azione Cattolica all’accompagnamento dei giovani.
Il tuo ruolo tra i giovani è stato quello di accompagnarli, specie nelle vacanze ai confini in Italia e all’estero. Anche i giovani ti hanno accompagnato nel cammino? «Certamente. Lo dico con quattro parole: vivacità, disponibilità, concretezza, essenzialità. Vivacità è quella che i giovani portano dentro in modo connaturale, ti tengono vivace. Disponibilità perché i giovani ci stanno. Quando gli fai delle proposte belle dove colgono degli spiragli, loro ci sono e ci stanno. In particolare penso a quante ore i giovani hanno vissuto insieme. Penso a quelli che hanno strettamente collaborato, quelli sul territorio, quante ore gratis! Si sono spesi per altri giovani con grande disponibilità a cambiare le cose, rimetterle in gioco. Questo viene riconsegnato anche a me. Concretezza perché i giovani non hanno voglia di parlare di cosa un po’ troppo campate in aria. Vogliono toccare con mano e ci stanno. Tutte le volte che questa cosa è capitata è un monito per noi. Si dice che la Chiesa va avanti a sedute. A furia di riunioni non se ne può più! Più che fare riunioni forse dobbiamo imparare a incontrare le persone. Più volte i giovani dell’Azione cattolica mi hanno riconsegnato questo importante bisogno. Per ultimo l’essenzialità. Viaggio ai confini (le vacanze estive) non è stata un’esperienza improvvisata, raffazzonata in qualche modo, ma sperimentare che forse possiamo cavarcela con poco, che non ci serve tanto. Questo è molto bello, specie in una società dove tutto dipende da ciò che possiedi, dall’apparenza messa in mostra. Invece i ragazzi sono molto più semplici, più contenti di potere vivere essenzialità e semplicità. Aggiungerei un’altra cosa: l’invito a non fare scelte isolate, io da prete, ma condividerle. Piccole o grandi che siano. Dobbiamo imparare a pensarle insieme. Questo i giovani hanno cercato di insegnarmelo. Io non so se ho imparato. I giovani più volte hanno tenuto a questo dicendo che sono loro i soggetti. Questo è importante!».
Che tipo di esperienza è stata quella delle 3P tra i clochard conosciuti nel centro di Milano? «Credo che questa esperienza abbia un tono fortemente formativo. Più volte ci siamo detti noi non risolviamo niente dei poveri che andiamo a trovare, ma questa esperienza forma un giovane perché lo rende capace di compiere delle scelte coraggiose anche a livello vocazionale. Così è stato per alcuni giovani che si sono sposati e hanno custodito nel cuore, a volte con gesti concreti, l’attenzione ai poveri. Così è stato per chi è partito per una congregazione femminile, per chi è entrato in seminario, quindi un’esperienza sulla concretezza e sulla vocazione. Per 3P è cosa da tener presente».
Un messaggio agli amici e amiche conosciuti in Azione cattolica? «Di essere laici coraggiosi capaci di amare la Chiesa. In questa epoca c’è proprio bisogno di laici di Azione Cattolica che abbiano lo sguardo complessivo. Direi loro di non pensare ognuno al proprio orticello, di avere il coraggio di uno sguardo di insieme e dentro questo di inventare proposte nuove, di avere uno sguardo sull’Europa. Soprattutto sui ragazzi, sui giovani la possibilità di fare delle proposte belle e significative, che sappiano suscitare domande e riflessioni, di infiammare i cuori, far sentire che l’Azione Cattolica per il bene della Chiesa c’è! Una capacità di guardare all’orizzonte con uno sguardo di insieme, di non stancarsi di proporre cose belle perché così è stato. Le iniziative fatte, proposte dai giovani sono state belle e significative».
Nella nuova parrocchia di Valtravaglia cosa porti nel cuore?
«Porto Evangeli gaudium n.31. Ciò che faremo con l’ingresso di domenica (30 settembre ’18) nella nuova parrocchia è simbolico, che porta con sé un significato. Quando papa Francesco è venuto a Milano disse delle parole, ma ha compiuto soprattutto dei gesti. Il gesto di domenica è molto semplice. Noi cammineremo, in noi c’è il desiderio di camminare insieme con tutte le età, chi riesce con poco, chi tanto e in base alle sue possibilità. Ognuno farà come può. Si camminerà tra le quattro comunità per dire, forse, che sarà questo che ci aspetta, cioè la possibilità di camminare insieme. In questo cammino la Evangelii gaudium rispetto al vescovo, al pastore, dice che ogni tanto è davanti, ogni tanto in mezzo, ogni tanto è dietro. E’ evidente che in questo momento il pastore possa stare in mezzo o dietro perché o c’è la gente locale che lo guida, o non sa neanche dove sono le strade. Questa sarà la metafora del camminare insieme dentro questo territorio, di lasciarsi guidare e anche di chiacchierare con chi ci sta a fianco. L’affiancarci a qualcun altro permetterà di costruire insieme un cammino».
Silvio Mengotto
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