Assistente Generale dell’Azione Cattolica Ambrosiana

Gli inizi della mia vocazione

Potrà sembrare strano per i tempi, ma la domanda mi è risuonata presto nel cuore, senza saperla immediatamente decifrare. L’ingresso in Seminario è stato a Seveso, in quarta ginnasio, ma per tutto il tempo delle medie il pensiero si è via via fatto più vivo. Non c’è stato nulla di repentino o di miracolistico, ma un lento emergere di una consapevolezza di cui dovevo solo prendere atto e decidere di conseguenza. La dedizione senza contatore del mio parroco, forse non sempre illuminata, ma totale e spassosa, la vita in oratorio, le amicizie, l’esperienza del tutto singolare con gli scout hanno custodito il clima giusto per convogliare i pensieri. E così è stato di tutto il cammino in Seminario fino alla soglia dell’ordinazione. Niente di scontato o privo di interrogativi, tuttavia, se così si può dire, tutto si è svolto dentro una straordinaria ordinarietà. Sono stai anni bellissimi e indimenticabili. La grazia di una fraternità intensa, che perdura tuttora, mi ha sempre accompagnato.

Gli incarichi precedenti

Ho iniziato il mio ministero come educatore in Seminario e lì ci sono stato fino a questo passaggio. Prima come vicerettore del liceo, poi del Biennio teologico. Al rientro da un tempo di studi a Roma, dedicato alla spiritualità e alla teologia, ho svolto il ministero occupandomi della pastorale vocazionale del Seminario e della formazione al diaconato permanente. Da ultimo, per undici anni, sono stato padre spirituale della comunità del Biennio teologico, un’affascinante comunità di inizi, dove lo stupore dei primi passi ha quasi sempre il sopravvento, liberando cammini di autenticità, di conoscenza di sé, di ricerca di Dio davvero commoventi. Sono molto grato al Seminario che è stato luogo di volti e biografie indimenticabili, incontrate per grazia, alla ricerca della propria vocazione. Anche il rapporto tra preti è stato importante. Le divergenze di pensiero e affinità non potevano mancare, ma la stima reciproca, la grande storia di figure del passato amati e stimati, la passione educativa cercata con verità, hanno reso una vita semplicemente bella. Ne sono veramente grato.

Essere assistenti di Azione Cattolica. Cosa significa per me.

Cosa significa devo ancora scoprirlo e sono contento per questo. Di fatto per me è tutto nuovo, impegnativo, ma anche molto affascinante. Ho conosciuto molta gente che ha percorso questo cammino – mamma compresa – e, dunque, è come se ne avessi sempre un po’ gustato il frutto maturo. Non ho mai avuto, invece, nessuna conoscenza delle strutture associative come della vita intima dell’Associazione. Per questo si tratta di un mondo tutto da scoprire e vivere.

Quale futuro desidero per l’Azione Cattolica?

Arrivando del tutto digiuno posso permettermi di sognare alla grande, ma non per me. E mi piacerebbe invitare ciascun socio a farlo. È fuori di dubbio che, con tutta la Chiesa, ci si trova dentro quella che papa Francesco ha definito con lucidità non «un’epoca di transizione, ma una transizione d’epoca». La gioia del Vangelo, però, rimane del tutto intatta e capace di radunare cammini, proclamare qualche profezia sulla vita, portare una consolazione che non svanisce. Dalla mia finestra in San Giorgio vedo la guglia più alta del duomo con la Madonnina. Aprire la finestra e vederla illuminata nella prima notte che ho dormito in quella casa, mi ha fatto molta compagnia e ho sentito questo non solo per me, ma per ciascuno. La mattina, uscendo per andare a celebrare nella splendida Chiesa di san Satiro, sono stato sorpreso dal “viavai” della gente per via Torino. Non ne ero, infatti, per nulla abituato e la domenica mi è subito apparsa come insolita. La chiesa insiste su una via che è un formicolio di pensieri e interessi disparati, di volti, lingue e fogge del vestito così variopinte e inafferrabili, eppure singolarmente amate. L’insistere di quella Chiesa su quella via ricorda a tutti la commovente cura di Dio, l’impressionante mistero della sua incarnazione. Mi accorgevo camminando che, tra il viaggiare della gente e una Chiesa che ancora vuole essere tra le case, così come è nata, il sogno non può che essere quello di Dio. Credo che il futuro attenda di imparare a leggere i «segni dei tempi», ad aprire qualche prospettiva, a iniziare processi, osare qualcosa nella logica di quel sogno. Facendo questi pensieri, quasi a compensarne il timore per un’impresa troppo onerosa, mi è riaffiorata quasi subito una frase di un autore contemporaneo letta tempo fa, a proposito del mistico: «come Ulisse si lega all’albero maestro di una speranza che non appartiene al futuro, ma all’invisibile. O meglio: a ciò che ancora non è (visibile)» (J. T. Mendonça).