La scuola italiana in Europa è stata la prima a chiudere e l’ultima a riaprire. C’è un’ondata di proteste degli studenti di scuola superiore in tutto il Paese. Si mobilitano per il “diritto allo studio” e citano l’articolo 34 della Costituzione e per rientrare nelle loro aule. Nei sit-in pacifici davanti alle scuole gli slogan più gettonati sono: «Diamo voce agli studenti», «Spegnete i tablet e riaccendete i ragazzi», «La scuola si fa a scuola».
Per parlare di come la didattica a distanza (DaD) si è trasformata in una occasione per innovare e sperimentare, dei problemi di relazione con gli alunni e delle incertezze per il futuro della scuola, abbiamo contattato Betty Castelli, insegnante di scuola media nell’Istituto comprensivo di Lainate, socia di Azione Cattolica ambrosiana e Marco Erba, insegnate in un liceo milanese e autore di libri per ragazzi: Fra me e te, Quando mi conoscerai e Città d’argento. Come altri docenti, entrambi ritengono che l’uso delle nuove tecnologie è stato un grande alleato, ma concordano che bisogna saperle usare e dosare perché non sono prive di limiti e nuovi problemi.
Nuove tecnologie e la relazione
L’aspetto positivo della didattica a distanza, sostiene Erba, e che la scuola italiana «è stata costretta a una rivoluzione tecnologica per la quale avremmo dovuto aspettare molti anni se non ci fosse stata la pandemia. In questo l’emergenza è stata una ricchezza perché ha costretto ad un aumento delle competenze di insegnanti e studenti. La tecnologia», avverte, «non sostituisce certo la relazione educativa, ma se viene usata adeguatamente può stimolare la creatività degli studenti».
Quando si apprende, anche con l’uso della tecnologia, la relazione rimane fondamentale. «La didattica a distanza», dice Castelli, «funziona solo se si è costruita una relazione, altrimenti i ragazzi, già distratti da tante cose, se non riconoscono nella persona dall’altra parte dello schermo una figura significativa, non seguono. Qualsiasi tipo di didattica, se non parte dalla relazione non è efficace. Questo è stato un grande salto nella mia professionalità», afferma la docente di scuola media, «in primis cercare la relazione con gli studenti».
Prima della pandemia, Marco Erba con alcuni studenti ha intessuto una relazione che si è rivelata importante e significativa. Alcuni di loro, nei momenti più difficili, «finita la prima fase dell’emergenza mi hanno chiesto di vederci personalmente per un confronto sulla situazione. Considerando le relazioni, la crisi ha aperto domande e voglia di confronto». Durante il lockdown, tra i suoi studenti il professor Erba ha raccolto dei racconti, ora pubblicati, nell’opuscolo Ci baciamo a settembre.
L’uso delle nuove tecnologie ha evidenziato anche aspetti problematici e negativi come l’aver creato una maggiore discriminazione tra gli stessi studenti: tanti ragazzi che sono stati esclusi dalla DaD per mancanza di strumenti. L’Istat dice che un terzo delle famiglie non ha pc o tablet a casa, che il 25% non ha accesso a Internet. «Quelli bravi e preparati, con un metodo di studio e motivati, reggono bene e ne escono arricchiti», continua Erba. «Chi è in difficoltà invece ha bisogno di un accompagnamento educativo che è fatto inevitabilmente di presenza fisica e di relazione». «C’erano famiglie con un solo computer e con quattro figli, tutti con la necessità di usarlo contemporaneamente», denuncia «Castelli. Un figlio faceva le elementari, l’altro le medie. Era la stessa fatica che sentivo come insegnante e genitore». Per Giovanni Biondi, presidente dell’Indire (Istituto innovazione e ricerca educativa), servirebbe una didattica mista: «A distanza si segue la lezione e in presenza si studia insieme».
Presente e futuro
L’urgenza di un ritorno a scuola in presenza per Betty Castelli necessita una risposta valutando diversi piani. C’è un piano sanitario dell’emergenza che deve essere rispettato. Nella sua scuola si è verificato un focolaio che ha coinvolto sette insegnanti, due bidelli e molte classi anche per «l’irresponsabilità delle famiglie per cui i ragazzi si trovavano a casa di chi era positivo», precisa la docente. «Entrare in classe con questo timore non è semplice. Questo aspetto emotivo non va sottovalutato. Fare didattica così è molto faticoso». C’è poi un problema di sicurezza da garantire nei trasporti pubblici che portano gli studenti a scuola. Ma l’emergenza pandemica ha fatto emergere la necessità della riforma generale della scuola.
«La scuola», conclude Castelli, «ha bisogno di nuove idee, di nuovi strumenti, di strategie differenti, di piccole classi. Ha bisogno di un progetto! I nuovi docenti dovrebbero essere affiancati da chi ha più esperienza. Non tutti possono fare l’insegnante. Non è questione di quante cose sai, ma di quanto sai metterti in relazione. Sarebbe da ripensare il ruolo degli insegnanti, come educare i ragazzi all’uso delle tecnologie, come rimotivarli e ripensare il sistema di valutazione. So che il corpo docente ha fatto resistenza, ma il cambiamento oggi è urgente, ineludibile»
Silvio Mengotto
Scrivi un commento