Santa Gianna Beretta Molla è giustamente definita la “santa della famiglia e della vita”. Vi è però il rischio di perdere di vista altri aspetti della sua straordinaria testimonianza di vita in particolare quelli che attengono la sua professione di medico, scelta dalla santa come una vera e propria vocazione insieme a quella di sposa e madre.
Ed è proprio per questa ragione che l’Azione cattolica ambrosiana, nel centenario della nascita di santa Gianna, si è fatta promotrice con la diocesi di Milano di un convegno teologico-pastorale che approfondirà la «cura come consolazione» nell’originale santità di Beretta Molla. L’appuntamento è fissato per sabato 4 febbraio presso il Centro diocesano (via Sant’Antonio 5) a Milano dalle 9.30 alle 12.30. Dopo il saluto del vicario generale, monsignor Franco Agnesi, interverrà don Cesare Pagazzi, Segretario del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione con una relazione dal titolo Presenza e assenza: il polso della consolazione. Seguirà l’intervento di Alessandra Augelli, docente di Pedagogia Interculturale all’Università Cattolica del Sacro Cuore su Affiancare la solitudine e creare legami: Santa Gianna e la tessitura della trama comunitaria.
Abbiamo intervistato la professoressa Augelli per anticipare alcuni aspetti del suo intervento al convegno.
La cura e la consolazione sono la lente attraverso la quale sarà letta la figura di santa Gianna Beretta Molla nel convegno del 4 febbraio. Temi che paiono di grande attualità in un momento storico segnato da tante solitudini e dall’incertezza diffusa per il futuro. Lei interverrà, in particolare, con una riflessione su Affiancare la solitudine e creare legami. Cosa insegna santa Gianna su questo fronte?
«Quando pensiamo a come consolare una persona solitamente pensiamo a come offrirle parole di ottimismo, di leggerezza, come se fosse una distrazione dal suo dolore e dalla sua solitudine. Etimologicamente invece questo verbo ci porta a considerare di accogliere la solitudine e la sofferenza dell’altro e cercare di far sì che quel vuoto di senso porti a riscoprire un senso più autentico della vita proprio attraverso il legame creato. A mio avviso questa particolare sfumatura si comprende attraverso i gesti e il modo di essere presente che santa Gianna ha vissuto. Il dolore porta con sé la rottura dei legami, induce a non fidarsi più di nessuno e della vita; l’aspetto più brutto della sofferenza è proprio la solitudine ad essa connessa perché riteniamo che nessuno possa capirci e sostenerci. In questi momenti la compagnia silenziosa di chi c’è e ascolta in modo gratuito è fondamentale e santa Gianna, vedremo, ce lo insegna».
Il “creare comunità” sarà un altro aspetto del suo intervento del 4 febbraio Di che tipo di comunità abbiamo bisogno?
«La comunità di cui abbiamo bisogno è una comunità che costituisce come un grembo generativo, fatto di connessioni, di nutrimento, di accoglienza, ma anche di slanci, di sollecitazioni, di spinte verso il mondo. Ciascuno di noi viene generato solo nelle relazioni e grazie a relazioni. Oggi abbiamo bisogno di sentirci parte di questo tessuto comunitario, di esserci dentro, ma anche di contribuire a costruirlo».
Nei giorni immediatamente precedenti al convegno si celebra in diocesi la “Settimana dell’educazione”; che per molte realtà locali è l’occasione per riflettere sull’impegno educativo attraverso l’oratorio, la pastorale giovanile e non solo… L’impegno educativo è anch’esso, in un certo senso, cura. Anzi, forse è proprio una delle cure di cui più abbiamo bisogno è più. È d’accordo?
«Assolutamente sì. La cura è un atto complesso, è ciò che ci caratterizza come persone e che ci accompagna lungo tutto l’arco della nostra vita. Si tratta di una paziente opera di accompagnamento, in cui la persona viene condotta a trovare via via le migliori espressioni di sé, il modo più bello per fiorire e per compiersi. Ciò che caratterizza l’impegno educativo è la reciprocità: mentre curo l’altro, mi curo, mentre educo, mi educo, mentre cerco di autorizzare l’altro ad essere sé stesso e a compiersi anche io trovo il modo migliore per esserci. E la comunità è quel tessuto, quella realtà in cui questo può realizzarsi ed essere potenziato».