In occasione degli eventi per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, si è svolto il 4 maggio un convegno dedicato al priore di Barbiana, nato il 27 maggio 1923.
Il convegno aveva per titolo “Le Barbiane di oggi. Quali proposte per la scuola”, ed è proprio alla scuola di oggi che il discorso era rivolto e ha visto la partecipazione nel pubblico di diversi educatori, insegnanti ed esponenti istituzionali del mondo della scuola.
Il primo a intervenire per un saluto carico di significato è Agostino Burberi, uno dei primi allievi di don Lorenzo a Barbiana e oggi presidente della Fondazione “Don Lorenzo Milani” che, con il suo fare schietto e sincero, chiarisce il perché di un tema del genere: il priore non avrebbe apprezzato che si celebrasse la sua figura, mentre è necessario “accendere fiammelle” per tener vivi i suoi insegnamenti. Chiude poi con un invito: “gli insegnanti siano coinvolti sui valori per cui vale la pena insegnare”. Solo così ai giovani tornerà il desiderio, la passione, di insegnare ed educare.
Prende quindi la parola per i saluti istituzionali il prof. Domenico Simeone, preside della Facoltà di Scienze della Formazione che ricorda quanto don Lorenzo Milani sia stato innovatore scomodo, tuttora scomodo, “che ci invita a perseguire l’ideale alto di formare persone libere e solidali”. Cita poi una tra le frasi più famose del testo Lettera a una professoressa scritto a più mani con i suoi ragazzi “Cercasi un fine. Bisogna che il fine sia onesto. Grande. […] Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come lei vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola?”.
Alla scuola dedica il suo saluto anche il prof. Pierluigi Malavasi, direttore del Dipartimento di Pedagogia e presidente della Società Italiana di Pedagogia. Così come il prof. Pierpaolo Triani, ordinario di Pedagogia e già membro del Consiglio Nazionale di Ac che conduce la prima tavola rotonda del convegno, la quale raccoglie docenti ed esperti di scuola che hanno studiato, letto e scritto del priore.
Il primo intervento è della prof.ssa Milena Santerini, ordinaria di Pedagogia, la quale spera in una scuola capace di far crescere tutti, senza lasciare indietro nessuno, così come era quella di Barbiana. Una scuola capace di suscitare il piacere dell’apprendere, senza utilizzare – dice – la minaccia del voto. Milani, aggiunge, non era quello del “sei politico”, dell’assenza di rigore, ma predicava l’accompagnamento e la possibilità per ciascuno di arrivare a un livello di istruzione accettabile per muoversi nel mondo “per intendere gli altri e farsi intendere” come scrivono i suoi allievi in Lettera a una professoressa. “La scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde”, prosegue Santerini, accendendo i riflettori su un tema di cui non si parla mai abbastanza, cioè l’abbandono scolastico precoce, sostenendo che questo dovrebbe essere il primario orientamento normativo di ogni riforma scolastica. Ricordando che don Milani non contestava la selezione nell’Istruzione Superiore, Milena Santerini sostiene che, però, oggi si tenda ad applicare il concetto di merito ai bambini e non ai loro insegnanti, i quali andrebbero rimotivati seriamente rispetto ai valori dell’insegnare, come già aveva detto Burberi. Infine lancia due sfide “milaniane” alla scuola. La prima è quella della scrittura collettiva, utilizzando anche lo strumento del web, che connette e quindi occorre che sia utilizzato per unire, non per allontanare e isolare. La seconda è quella dello scoprire che Barbiana che allora era popolata dai figli dei più poveri ed emarginati contadini del Mugello, oggi la si ritrova fra i migranti e i loro figli, che non conoscono la lingua e non hanno, talvolta, neppure competenze minime per orientarsi nel nostro Paese.
Riprende la parola Triani che a tal proposito ricorda come, quando si parli di scuola, si tenda ad incolpare per le difficoltà del sistema scolastico risorse mai utilizzate o riforme mai approvate o applicate. Introduce poi lo scrittore Eraldo Affinati, autore del testo L’uomo del futuro. Sulle strade di Don Milani e fondatore delle scuole Penny Wirton che si occupano dell’insegnamento della lingua italiana ai migranti gratuitamente e utilizzando la relazione umana come mezzo principale. Affinati parte dalla radicalità della scelta di don Milani, che è giustizia sociale, ma che parte dalla Croce davanti alla quale prega. Prosegue poi citando ancora Lettera a una professoressa “Non c’è giustizia più grande del fare parti uguali fra disuguali”, e si chiede come sia possibile dare lo stesso voto finale a due alunni che alla fine dell’anno ottengono lo stesso livello, se uno dei due viene da una famiglia italiana agiata e l’altro non parlava neppure l’italiano all’inizio dell’anno scolastico. “Pierino e Gianni (così chiama i due alunni, di cui Pierino non parla l’italiano all’inizio dell’anno, ndr), però, devono parlarsi” e l’unico modo per dare la possibilità a Pierino di confrontarsi con Gianni è quello di offrirgli la parola, quella parola che dà forma al pensiero. La scuola, dunque, non può non occuparsi degli ultimi, “non può essere l’ospedale dei sani”. Al termine dell’intervento lancia anch’egli due sfide. Nella prima ricorda il pacifismo di Milani, inteso come responsabilità nella storia e non come immobilismo e debolezza. Nella seconda invita gli insegnanti ad “essere a scuola”, non a “fare la scuola”, cioè ad essere persone trasparenti e autentiche.
Interviene poi Piergiorgio Reggio, docente e autore di Lo schiaffo di don Milani.
Chiude la prima tavola rotonda la professoressa Renata Viganò, ordinaria di pedagogia sperimentale e vicepresidente Invalsi, che riprende Reggio sostenendo che la scuola, oggi come negli anni Cinquanta, cristallizza la società. Mostra poi alcuni dati Invalsi che mostrano come in Italia le differenze degli apprendimenti tra zone del Paese, ma anche per ceto o per origine, siano ancora molto importanti e la scuola non riesce a compensare quegli elementi strutturali del Paese che ancora oggi accentuano le differenze fra ricchi e poveri. “Il bello – dice mostrandone le immagini a confronto – è che la parte statistica di Lettera a una professoressa è il primo rapporto Invalsi!”
La seconda tavola rotonda, moderata da Stefano Pasta, ricercatore dell’Università Cattolica, vede l’alternarsi di voci da quelle Barbiane di oggi. La introduce proprio Pasta, citando brevemente Agostino Burberi: “non si poteva fare lo sgarbo al priore di ricordarlo senza accendere fiammelle di speranza.” Il primo a intervenire è Ivan Tamietti, di “Provaci ancora Sam”, realtà torinese che si “prende cura” (come quell’I care che campeggia sulla parete a Barbiana) dei ragazzi pluriripetenti alla scuola secondaria di primo grado della periferia torinese. La sfida è quella di costruire per ciascuno un percorso che possa accompagnarlo ad ottenere gli obiettivi minimi per la terza media. Lancia poi un messaggio alla scuola di oggi: occorre che essa si prenda cura di ogni suo allievo e ogni sua allieva. Come diceva Danilo Dolci, maestro e attivista della nonviolenza, “Ciascuno cresce solo se sognato”.
Dopo di lui prende la parola padre Eugenio Brambilla, barnabita, presidente della Fondazione Sicomoro I Care, che, dopo la storica esperienza milanese delle scuole della seconda opportunità, ora ha aperto anche una sede a Lodi. Il suo intervento pone l’accento sulla formazione come elemento di giustizia: “i ragazzi di periferia – dichiara – non hanno diritto di parola perché sono esclusi dai percorsi di formazione. Se non si ha la parola, la capacità di dar forma al pensiero, si viene fregati”, dunque, insegnare le parole, insegnare i concetti è una questione di giustizia sociale. Per questo la scuola ha bisogno di insegnanti (“e non solo di educatori”) motivati e che si spendono per la scuola. Conclude con le sue sfide alla scuola. Padre Brambilla sogna una scuola che sia profetica, cioè annunciatrice di speranza e al contempo capace di denunciare quei diritti negati, quelle parole tolte. Sogna, poi, una scuola capace di essere attaccata all’essenziale, su ciò che conta nella vita di ogni alunno e ogni alunna.
A sorpresa entra in sala, durante l’intervento di padre Brambilla, il card. Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, giunto a Milano per l’apertura della Civil Week. Zuppi ricorda che fu proprio Lettera a una professoressa a spingerlo, con Sant’Egidio, ad andare nelle scuole popolari di Roma, dove trovò dei piccoli gioielli, delle fiammelle di speranza. Ricorda la sua visita a Barbiana “così piccola”, ma che Milani riuscì a far diventare ricchezza per il mondo intero. Chiude ringraziando e salutando i presenti con un’altra frase di critica all’ideologia del merito: “Il merito o è di tutti o di nessuno”, ricordando come il compito formativo ed educativo non possa essere solo della scuola, degli insegnanti, dei bambini o delle famiglie. Ma ciascuno deve avere la responsabilità della formazione dei più giovani.
Dopo l’intervento a sorpresa del cardinal Zuppi, è il turno di Maria Granata, responsabile del centro Exodus di Cosenza che organizza laboratori nelle scuole a sostegno delle attività didattiche. I laboratori servono a far rivivere Barbiana nel senso di suscitare ancora oggi il piacere di imparare. Troppo spesso infatti si associa l’imparare con la fatica, quante volte invece impariamo qualcosa quando siamo rilassati e contenti! L’idea del centro Exodus calabrese è, dunque, quella di accompagnare i ragazzi in un’avventura che possa rendere più attivo il processo di costruzione degli apprendimenti.
Esordisce poi con un’immagine Flaviana Robbiati, delle scuole della pace della comunità Sant’Egidio, che da anni a Milano si occupano di bambini e ragazzi rom e sinti. È l’immagine che racconta quella frase tratta da una lettera di don Milani nella quale spera un giorno di poter essere il cappellano ambulante degli zingari, dotato addirittura di una chiesa mobile, su un carro. Robbiati ritorna sulla custodia dei diritti di cui la scuola dovrebbe farsi carico, secondo don Milani: “La scuola – sottolinea – deve insorgere nei confronti delle ingiustizie che colpiscono i bambini e li allontanano dalla scuola” e traccia un elenco preciso e dettagliato degli elementi amministrativi e strutturali che rendono complesso l’accesso alla scuola ai bambini più poveri (il costo del “corredino” della primaria o quelle delle gite scolastiche, l’impossibilità di utilizzare la “dote scuola” erogata dalla Regione per acquistare il materiale utile per gli stage e i laboratori degli istituti professionali, le divise e gli attrezzi necessari ecc.). Le scuole della pace della Comunità di Sant’Egidio sono doposcuola nei quali giovani studenti si prendono cura dei bambini a tutto tondo: “Dove oggi si fanno i compiti una volta facevamo le docce. Perché il minimo per quei bambini era andare a scuola puliti, non con i compiti fatti”. Chiude il secondo giro l’intervento di Riccardo Taddei, di “Non uno di meno”, scuola popolare di Trieste. A Trieste il tema dell’abbandono scolastico è stato rilevato da poco in alcuni quartieri, ma ci si è accorti in breve che non era un elemento nuovo in città, bensì qualcosa che era rimasto sommerso per troppo tempo. Taddei riprende i punti tracciati dagli interventi precedenti. Aggiunge solamente una sfida a quelle lanciate in precedenza ed è quella di trovare un rapporto critico con la tecnologia. Non prendere per assodato l’utilizzo costante di computer e cellulare, ma neppure demonizzarlo; costruire un utilizzo armonico che sappia integrare i metodi tradizionali con le nuove tecnologie.
È stato un pomeriggio in cui si sono passati la parola esperti e operatori di scuole che vorrebbero essere portatrici di idee innovative, ma che difficilmente vengono prese in considerazione nella realtà odierna orientata alla prestazione e al merito. Davvero vogliamo chiedere a dei ragazzi di dieci, dodici o quattordici anni di meritarsi la possibilità di imparare? O siamo noi adulti che dovremmo meritarci per ciascuno di questi la possibilità che loro imparino?
Don Lorenzo Milani a cento anni dalla sua nascita ci chiede, con grande schiettezza: noi adulti siamo capaci di costruire contesti nei quali sia possibile “imparare a parlare” per prendere in mano la propria vita, dare forma al proprio pensiero e poter esprimere il proprio diritto? Noi adulti sentiamo il peso della responsabilità su ciascuno di noi per ognuno di questi figli?
Davide Manzo