I giovani. Già, ma quali giovani? Esiste una categoria indistinta di under30? E perché non under35, oppure sotto i 24 anni? C’è una demografia, oppure una sociologia, o addirittura una ecclesiologia, che saprebbe raccontarci “i giovani” tutti insieme, come se ci fossero precisi elementi per definirli, spiegarli, interpretarli?
Il rischio delle categorie va accuratamente evitato. E ben lo si comprende a Lisbona, alla Giornata mondiale della gioventù, dove sono arrivati centinaia di migliaia di giovani da ogni angolo del mondo: dalle metropoli nordamericane ai villaggi nigeriani o indiani, dalle periferie italiane a quelle colombiane, da Lusaka come da Kiev, senza escludere ragazze e ragazzi cinesi, ivoriani, neozelandesi, salvadoregni…
Ognuno fatto a suo modo. Per età, lingua e cultura, per hobby e per titolo di studio; alcuni lavorano, altri di lavoro non ne trovano. Certi vivono in famiglia, altri una famiglia non l’hanno mai avuta (o, in qualche caso, ne avrebbero fatto volentieri a meno).
Anche su vita e fede sembrano avere idee e “pratiche” ben differenti tra loro. C’è il parrocchiano siciliano e l’oratoriano piemontese; la ragazza brasiliana che racconta di dover attendere, per una messa, un prete che arriva da lontano nella sua chiesa nella foresta; c’è il belga che frequenta studi teologici ma si dice “solo”, senza una comunità attorno, con cui condividere la fede. Ci sono giovani cresciuti in Paesi nei quali il cristianesimo è maggioritario, altri in cui è fortemente minoritario, talvolta persino ostracizzato, se non perseguitato.
Ci sono i giovanotti che ti dicono dei sabati sera al cinema o in discoteca, per i quali spendere 50 euro alla volta non è un problema; le fuori sede “spennate” da proibitivi costi per una stanza; altri ragazzi che la scuola proprio non l’hanno frequentata, semplicemente perché nel loro Paese studiare è un lusso per pochi. Poi c’è il palestrato, la suonatrice di flauto, la sciatrice, la rammendatrice, il garzone di negozio che gioca a pallone imitando – a suo dire – Ronaldo.
E poi li osservi, lì, in gruppo: quelli disinibiti, i taciturni, i “capipopolo”, quelli che stanno sempre in seconda fila, forse timorosi o con una scarsa considerazione di sé. Il Papa li sta incoraggiando: “nella Chiesa c’è posto per tutti”. Come dire: al Signore piaci così come sei, impara a voler bene a te stesso, e a voler bene a chi incontri nella tua vita. Tieni lo sguardo alto, verso il Cielo. Dio sarà con te. Così come li ha incontrati il Papa, senza fare a nessuno l’esame del dna. Forse da Lisbona ciascuno porterà a casa il “suo” Papa e il “suo” Gesù.
Gianni Borsa