Da domenica 23 febbraio 2020, il primo giorno di chiusura di alcune attività, a cui seguirà il giorno dopo, inizialmente per la Lombardia la fine dell’anno scolastico in presenza, è iniziato un mondo inedito, come ha ripetuto spesso il nostro Arcivescovo. In pochi giorni si sono sommati degli shock che a vederli adesso, messi in fila uno dopo l’altro, ci fanno capire il passaggio avvenuto: sospensione della scuola in presenza, delle attività sportive compreso il campionato di calcio di serie A (forse solo la guerra aveva avuto un impatto simile) e poi, fino al 9 maggio, sospensione delle attività non indispensabili, vietata la libera circolazione, ovvero una vita chiusi in casa, sospensione delle celebrazioni. Poi una ripresa graduale, che ci ha portati fino a ottobre 2020, e poi siamo ritornati a chiudere, alla DAD che poi è diventata DID, alla sospensione delle attività sportive…
Da due anni conviviamo con una situazione di continui cambiamenti, dalla scoperta di essere stati contagiati a tamponi da fare improvvisamente per contatti, di quarantene che capitano da un momento all’altro, con attività di qualsiasi tipo sempre a rischio di sospensione e di riprogrammazione. Non siamo all’apocalisse, ci sono zone del mondo perennemente in guerra o in situazioni di estrema povertà, è però certo che fino a sabato 22 febbraio 2020 quello che è successo lo avevamo solo visto in qualche film, che comunque ci vedeva sollevati tanto era distante la possibilità che accadesse.
Cosa può passare nella testa di un ragazzo, di un adolescente che conta non gli anni ma i giorni della sua crescita, che parla di sé facendo riferimento agli anni scolastici o alle categorie della attività sportiva? Proviamo a pensare a cosa ha provato un ragazzo, una ragazza che a febbraio 2020 era in III media, aveva appena scelto le scuole superiori, si apprestava al primo esame importante della sua vita ed era nel pieno di una stagione sportiva importante, perché quella è un po’ l’età in cui capisci definitivamente se quello sarà lo sport della tua vita… e improvvisamente salta tutto e non riesci, forse non puoi dire, a quell’età, recupererò questa esperienza più avanti, perché non sarà la stessa cosa; e poi ricapita la stessa situazione qualche mese più avanti, e siamo ormai al terzo anno scolastico segnato dalla pandemia, da chiusure e didattica fatta con mezzi assolutamente nuovi per la scuola, quindi di cui non si comprende ancora bene l’efficacia.
Tutto ciò è capitato a tutti, le differenze sono nate poi dal contesto che ciascuno ha trovato attorno a sé, ma il primo dato evidente è che la pandemia ha colpito a livello psicofisico ogni categoria sociale, generando paure, ansie, disturbi del sonno o alimentari in modo diremmo “democratico”. Certamente poi il contesto ha aggiunto criticità differenti, dipendenti concretamente dal vissuto famigliare, fatto di spazi fisici, relazionali, di preoccupazioni economiche e occupazionali.
Per chiudere il quadro generale aggiungiamo che quanto appena descritto è entrato in minima parte nella gestione politica della pandemia, perché lo stato psicofisico delle generazioni in fase di crescita non possiamo dire sia stato al centro dell’attenzione. Riassumendo, un adolescente potrebbe tradurre così quanto gli è capitato negli anni indimenticabili della vita:
“Una pandemia che nessuno era pronto a gestirla, la rinuncia a tutto ciò che mi piace nella quotidianità, un mondo adulto che urla continuamente cosa bisogna e cosa non bisogna fare, uno smarrimento rispetto al futuro: perché proprio a me???”
Si potrebbero mettere in evidenza tanti altri aspetti di questa crisi, questi sembrano bastare per dire almeno due punti su cui lavorare: mettere al centro i ragazzi, i giovani, ovvero il nostro futuro e così saranno rimessi al centro tutti, perché solo una società che guarda al futuro può essere attenta a tutti; cercare una risposta corale, sinergica, perché quanto è accaduto non è solo una questione sanitaria, ha messo in discussione la gestione della vita ordinaria.
Sembrerebbe che la strada per una uscita dalla situazione emergenziale, in cui eravamo già immersi prima della pandemia, ma che è stata accelerata e ampliata dal febbraio 2020, debba essere quella di una comunità intera che si raduna e si predispone a offrire delle strade di vita, dei percorsi virtuosi per la salvaguardia del bene comune, dell’ambiente (tema decisivo per un cambio di mentalità: noi facciamo parte dell’ambiente, i beni che la natura ci mette a disposizione vanno gestiti all’interno di relazioni virtuose; lo approfondiremo…).
L’immagine della cordata, che rende possibile la missione, disegna plasticamente la custodia che il cammino fatto insieme, legati ovvero custoditi reciprocamente, mette a disposizione di ciascuno e di tutti, e offre anche visibilmente quanto il Papa ha detto ripetutamente: o ci salviamo insieme o non si salva nessuno!
Forse ci può aiutare anche un breve racconto: un antropologo inglese si trova in una tribù dell’Africa subsahariana e partecipa ad un rito per propiziare la pioggia e vede che è presente tutto il villaggio, dai piccoli agli anziani. Con un po’ di superbia tipicamente occidentale chiede ad un anziano della comunità se ci credessero davvero che quel rito poteva garantire la pioggia e dunque il raccolto. L’anziano anzitutto gli fa capire che anche loro sanno che quel rito non farà comparire magicamente la pioggia, però il valore di quello che accade sta nella presenza della comunità intera: se il raccolto andrà male, sappiamo che comunque siamo una comunità e troveremo insieme una soluzione! Ciò che il rito segna è l’appartenenza ad una fraternità!
Partiamo dai ragazzi, da coloro che hanno meno strumenti per interpretare quanto hanno vissuto, ma così ci si occupa delle famiglie e di tutti coloro che si prendono cura dei ragazzi, dando l’immagine di una comunità che desidera che nessuno resti indietro. Forse è anche il tempo che la comunità adulta, proprio per far fronte alla emergenza, sappia ridisegnare insieme le priorità: troppo spesso i ragazzi sono tirati da una parte all’altra da vari soggetti adulti che si occupano di loro ma che forse hanno ritenuto il loro intervento il più importante, senza dialogare tra loro e lasciando alla fine da soli i ragazzi a decidere le priorità. Il professore dirà che la scuola è fondamentale per saper stare al mondo, l’allenatore dirà che lo sport è una palestra di vita, il prete o l’educatore dell’oratorio dirà che il cammino di fede è imprescindibile… parlatevi, direbbe un adolescente!! Perché se è innegabile che in ciascun ambito di crescita si è aiutati a diventare adulti, è anche vero che la persona, e quindi anche l’adolescente, è un complesso delicato e fragile di equilibri, sempre da ribilanciare, messi a dura prova dalla realtà.
Per concludere questo primo approfondimento, la cordata per una missione possibile vuole lanciare un primo segnale forte: nessuno deve sentirsi solo, abbandonato! La stessa cordata nasce dalla percezione che nessuna agenzia educativa ce la può fare da sola e l’auspicio è che in ogni luogo il messaggio inziale, dirompente, sia quello di unire le forze tra tutti coloro che hanno a cuore il cammino dei ragazzi. Come può avvenire? Se mettiamo al centro l’altro, in questo caso i ragazzi, la fantasia e la creatività non mancheranno!!
Ottavio Pirovano, Aquila e Priscilla