“Nelle scorse ore è morto Vittorio Bellavite, coordinatore e portavoce nazionale di Noi siamo Chiesa recentemente sostituito per ragioni di salute”. Così lo ricorda Giuseppina Perrucci, che afferma: “Bellavite appartiene alla mia vita meneghina, alla parte migliore della mia esperienza ecclesiale a Milano. […] Era un uomo di fede, laico, sposato con 4 figli e vari nipoti, laureato in legge, fine intellettuale e coltivatore di rose”.
Perrucci ne sottolinea l’impegno per la riforma della Chiesa cattolica e per “una Chiesa cattolica dei poveri”. “Mi insegnò concretamente ad ascoltare le ragioni degli atei… Ed io dell’Azione cattolica imparai nella pratica a ragionare diversamente”. Bellavite “amava e capiva la Chiesa cattolica e si impegnava per modificarla affinché rispondesse meglio all’Evangelo. “Con la morte di Vittorio Bellavite – conclude Perrucci – la Chiesa italiana perde una intelligenza profetica, noi speriamo di essere in grado di raccoglierne l’eredità”.
Vittorio Bellavite: un debito di ascolto?!
Dopo la morte di Vittorio Bellavite ringrazio Giuseppina Perrucci di averlo ricordato con la risonanza che merita. Ho conosciuto Vittorio negli anni ’70 quando la mia fede era in ricerca. Non mi dava risposte, certezze, ma ascoltava. Sapeva ascoltare, sapeva costruire lo spazio dell’ascolto. Un cammino del Vangelo da recuperare, con urgenza, soprattutto nei confronti delle donne e dei giovani. Il tempo, le diverse storie, ci hanno portato su cammini diversi che, puntualmente si incrociavano sempre (i poveri, la pace, la politica, gli emarginati, il Concilio Vaticano II), ci univa il certificato di battesimo che cercavamo di vivere nelle rispettive scelte. Con Vittorio ho un debito di ascolto! Forse lo hanno anche i sacerdoti, meno chi lo ha conosciuto. Mi riferisco a quelli (tanti, pochi, non lo so) che, rimanendo indifferenti, non hanno dialogato con la sua laicità evangelica e conciliare, che è sempre stata scomoda, anzi scomodissima come il Vangelo che leggeva e praticava in famiglia, con i vicini, i poveri, gli scartati nella società. “Mi insegnò concretamente ad ascoltare le ragioni degli atei – scrive Giuseppina Perrucci – … Ed io dell’Azione cattolica imparai nella pratica a ragionare diversamente”. Vittorio aveva respirato il soffio di tre profeti francesi (anni 30’- 50’) da ricordare e recuperare: Jaques Maritaim, Emanuel Mounier e Madaleine Delbrèl. Era sempre in forte anticipo sul futuro e sul presente che viveva. Come l’arcivescovo Mario Bergoglio a Buenos Aires, Vittorio incominciò a frequentare il mondo degli “ultimi”, degli scartati e rinchiusi nelle periferie della città, della società. Non era mai dietro la scrivania, preferiva camminare nel fango delle periferie dove si apriva il privilegio di vedere, ascoltare e parlare con gli scartati dalla vita, ma non dal Vangelo. C’è un debito di ascolto della sua profezia inascoltata? Credo di si!
Silvio Mengotto