C’è uno stendardo “ufficiale” che viene esposto solennemente alla proclamazione di un nuovo santo. Quello di Gianna Beretta Molla la ritrae in modo particolarmente tenero: ha in braccio la sua bambina. E il “titolo” con il quale la Chiesa l’ha messa sugli altari è “Mamma di famiglia”.
Sta tutto qui il suo segreto: questa donna, originaria di Magenta, nata giusto cent’anni fa (Magenta, 4 ottobre 1922 – Ponte Nuovo di Magenta, 28 aprile 1962) e morta prima di compiere quarant’anni, ha fatto un tutt’uno della sua esistenza, vivendo con grande passione la dimensione spirituale, l’amore per il suo sposo, la dedizione alla famiglia e alla professione, senza dimenticare gli altri e in particolare il servizio ai poveri.
In questo quadro di vita “riuscita”, perché decisamente felice – come spesso ha raccontato il marito Pietro –, hanno avuto un grandissimo peso la formazione giovanile di Gianna e l’appartenenza all’Azione cattolica. Non solo ne ha assorbito il messaggio spirituale, fissato nel celebre motto “preghiera, azione, sacrificio”, ma l’ha diffuso a sua volta con convinzione, prima da delegata delle Beniamine, poi delle Aspiranti (i nomi delle sezioni delle più piccole dell’associazione), poi da presidente della Gf, la Gioventù femminile, delle Giovanissime e infine come presidente parrocchiale a Magenta, un incarico ricoperto fino alla morte.
«Ripercorrendo, attraverso i suoi appunti, gli scritti per le conferenze e le testimonianze di quanti l’hanno conosciuta, quegli anni di impegno ecclesiale – scriveva monsignor Antonio Rimoldi, storico dei Seminari milanesi e primo biografo ufficiale di Gianna Beretta Molla, nel volume edito da San Paolo “La vita di famiglia come vocazione” – riconosciamo alcuni tratti caratteristici della personalità della giovane e poi della donna: energica e determinata, sicura della direzione da intraprendere e capace di mostrarla anche alle persone vicine a lei, ma insieme delicata e capace di ascolto, così da conquistare anche le ragazze più timide e ritrose. Lo spessore spirituale che alimentava costantemente questo impegno e l’apostolato in Azione cattolica si dimostrò ben presto. Nell’anno in cui fu delegata Aspiranti, Gianna istituì infatti, all’interno della sezione magentina, il cenacolo delle Aspiranti che si impegnavano a essere le vere apostole del gruppo. Per loro tenne adunanze settimanali durante le quali affrontò temi come: la preghiera, la grazia, l’eucaristia, l’apostolato».
I suoi discorsi e le “conferenzine” – di cui Rimoldi ha accuratamente documentato l’esistenza, raccogliendoli e classificandoli in vista del processo canonico –, pur risentendo di un’impostazione e un linguaggio fortemente contrassegnati dall’epoca in cui viveva, lasciano trasparire un progetto personale fortemente radicato nella spiritualità e aperto al mondo, all’impegno nella storia, alla forza degli eventi, in cui agisce lo Spirito. È con questa capacità di ascoltare i segni e le provocazioni della propria vicenda umana, in cui si incarna la chiamata evangelica per ciascuno, che Gianna modifica i progetti e i sogni che l’avevano accompagnata da ragazza. Voleva fare la missionaria, come il fratello, e invece la salute non le consentì di partire; allora si volge alla professione medica e diventa pediatra di base (diremmo oggi), per essere in prima linea con chi soffre e dedicarsi all’origine della vita. La stessa determinazione la sorreggerà quando, alla vigilia di un delicato intervento chirurgico durante la quarta gravidanza, dirà a Pietro: «Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete – lo esigo – il bimbo, salvate lui».
Maria Teresa Antognazza