«L’amore non è la voglia di catturare, afferrare l’oggetto del tuo desiderio, sia esso cuore, corpo, mente o tutti e tre insieme, perché l’altro non è un oggetto, e se lo prendi per te, lo fagociti e lo distruggi, è te che ami credendo di amare l’altro. Amare è con tutte le forze volere il bene dell’altro, anche prima del tuo, e fare di tutto perché l’amato cresca e poi sbocci e poi fiorisca, diventando ogni giorno l’uomo o la donna che deve essere e non quello che tu vuoi modellare sull’immagine dei tuoi sogni» (M. Quoist, Parlami d’amore, SEI, Torino 1987).
Per amare in questo modo autentico occorre saper scegliere liberamente ciò che si è in grado di donare sapendo educare i propri bisogni primordiali di prendere ed afferrare per sé. Le tristi notizie di questi giorni ci restituiscono vite spezzate da rapporti mortiferi, che uccidono non solo i corpi ma anche i cuori e le menti. Giovani e adulti incapaci si sostenere la frustrazione di un rifiuto, incapaci di accettare i propri limiti perché orientati al superamento di se stessi a qualsiasi costo, incapaci di dominare i propri istinti e le proprie emozioni perché imprigionati nei loro bisogni. Educare all’amore significa accompagnare quella libertà che ci permette di non essere schiavi di noi stessi.
I fatti di cronaca fanno riecheggiare a più livelli una dilagante disumanità. Guerre, violenze, morti incomprensibili. Oggi l’umanità è ferita perché ripiegata su se stessa. Vite vissute in prospettive ego-centriche a discapito di prospettive eco-centriche, ovvero centrate sulla casa, sulle relazioni familiari, su dinamismi sistemici.
L’enfatizzazione dei bisogni è stata per anni incentivata dall’incapacità degli adulti di mettere in atto azioni educative di contenimento, in cui la perdita del senso del limite ha soffocato la ricerca del desiderio. Custodire l’umano significa saper abitare il limite per andare oltre quello stesso limite e realizzarsi come uomini e donne che nella pienezza della loro adultità, sappiano essere generativi, abbiano la libertà di scegliere non tanto ciò che si vuole prendere ma ciò che si è in grado di dare e donare.
Claudia Alberico
Direttrice Fondazione don Silvano Caccia