Antonio Paraggi è il protagonista del racconto di I. Calvino L’avventura di un fotografo. Fattorino di mestiere, ma apprendista fotografo e filosofo, Antonio comincia a pensare che ciò che non è ritratto è perduto, che è come se non fosse mai esistito. Egli appartiene a quella folla di gente che alla domenica, esce di casa con l’apparecchio a tracolla nel tentativo, vano, di impadronirsi della realtà, di potersi legare ad essa non col vincolo della memoria, ma con l’arte della fotografia. Troppo labile per lui la memoria che si perde e confonde nel tempo, mentre la fotografia cattura e fissa per sempre. E, insieme, lo illude di possedere in qualche modo la realtà.
«Con la primavera, a centinaia di migliaia, i cittadini escono la domenica con l’astuccio a tracolla. E si fotografano. Tornano contenti come cacciatori dal carniere ricolmo, passano i giorni aspettando con dolce ansia di vedere le foto sviluppate (…), e solo quando hanno le foto sotto gli occhi sembrano prendere tangibile possesso della giornata trascorsa, solo allora quel torrente alpino, quella mossa del bambino col secchiello, quel riflesso di sole sulle gambe della moglie acquistano l’irrevocabilità di ciò che è stato e non può esser più messo in dubbio. Il resto anneghi pure nell’ombra insicura del ricordo».
Per quanto ambientata negli anni 50 l’osservazione di I. Calvino legge ancora bene quanto sta accadendo. Persino con maggiore profondità. Pare che oggi la realtà sia vera quando la si possiede, anche se i mezzi per fare questo non si dimostrano all’altezza del compito affidato. Danno l’illusione di poterlo fare, ma, in realtà, non sono in grado di trattenere la realtà, di fissarne del tutto i contorni. Ed è proprio questa la delusione e insieme la pazzia nella quale cade Antonio Paraggi. Egli crede di conservare la realtà chiudendo irrimediabilmente sempre di più il cerchio su se stesso, riducendosi, con tecniche sempre più complicate, a «fotografare fotografie». Ma, in tal modo, sempre più si estrania dalla realtà. Ciò che vuole trattenere per sempre è proprio ciò che continuamente gli sfugge. Molto meglio sarebbe vivere ciò che accade.
Ecco, sarebbe importante ricominciare da qui, per avere una visone più filtrata e vera della realtà, delle fatiche che attraversa, delle domande che pone, delle speranze che suscita, della verità e della giustizia che le accompagna. Mentre si apre l’estate con tutto il suo desiderio di portarci fuori da un tempo cupo, la lettura del momento presente mi pare una delle urgenze fondamentali.
Che cosa ci è accaduto? Che cosa ci sta accadendo? Chi stiamo diventando? Contro la smania di fotografare tutto per trattenerlo, occorre vivere l’istante e dare durata alla sua risonanza. Esso non è ciò che va consumato in fretta in attesa di altro e di meglio o solo più intenso, come capita diffusamente oggi, anche nella ricerca spirituale, e neppure ciò che va trattenuto per timore di perderlo. L’istante ci mette in rapporto con l’estro di Dio, perché in esso inizia ciò che non c’era, dando vita a una novità da abitare.
Sta qui, del resto, la saggezza mai del tutto acquisita dell’indicazione di Gesù nel discorso della Montagna di preoccuparsi solo dell’oggi senza affannarsi per il domani. Il bisogno di prevedere e programmare, di essere rassicurati circa il futuro tentando di impadronirsi delle sue chiavi, oggi assai diffuso, ha subito un grave colpo proprio in questo tempo di pandemia. Si può, dunque, ripartire cogliendo l’opportunità, oppure essere ulteriormente irretiti dall’affanno della rassicurazione. È la grande posta in gioco sempre e in particolare di questa estate che si annuncia.
Don Cristiano Passoni