Capita ogni anno, capita ogni estate: sembrava ieri l’ultimo giorno di scuola che segna l’inizio delle vacanze, e invece siamo già qui, pronti per il primo giorno di scuola, pronti per ricominciare un’altra stagione della nostra vita tra i banchi. Ci eravamo lasciati a giugno con questo augurio: far sì che l’estate non fosse soltanto un momento di pausa, ma un tempo di attesa anche prezioso, di cura per se stessi e per il proprio percorso, un tempo dunque utile per riflettere sulle proprie aspirazioni. Alle spalle abbiamo vissuto un anno e mezzo di una scuola che non ci saremmo mai aspettati (nella maggioranza dei casi), ma è anche vero che sono le persone a fare la scuola, e se queste in primis – studenti, insegnanti indistintamente – sono disposte a porre l’entusiasmo al primo posto, l’anno di scuola appena arrivato riserverà delle sorprese, pur con le difficoltà che si possono incontrare lungo la strada.
Se a giugno, per parlare dell’ultimo giorno di scuola, avevamo citato Alessandro D’Avenia (come scrittore e professore molto popolare tra i giovani), questa volta facciamo appello a un altro nome, Enrico Galiano – anche lui professore e scrittore molto attivo sui social – come voce altrettanto positiva e d’ispirazione per il primo (e non solo) giorno di scuola. Galiano cerca di “provocare” i suoi lettori: durante l’anno scolastico non bisogna dimenticare che al centro deve rimanere la relazione con i ragazzi, si deve incentivare il dialogo con loro per far suscitare domande e curiosità. E aggiunge: cosa serve inseguire i programmi didattici se poi non si sa trasmettere la bellezza, la passione per qualcosa?
Angela Bonato – responsabile diocesana dell’Azione Cattolica studenti – si dice completamente d’accordo con quanto rilanciato:
«Porto subito un esempio. Durante il campo di volontariato al Monte Barro a fine agosto, come educatori ci siamo accorti subito di come i ragazzi facessero un po’ fatica a relazionarsi tra loro, come si sentissero frenati. Sarà essenziale nei primi mesi di scuola “riabituare” all’interazione con i compagni e con i professori, visti gli effetti complessi delle chiusure e delle restrizioni scorse. Inoltre, se pensiamo specialmente a chi non ha avuto modo di vivere qualche esperienza in compagnia durante l’estate, ecco l’inizio della scuola è anche un nuovo inizio di tutto ciò». «D’altro canto – aggiunge – anche gli stessi docenti potrebbero sfruttare l’anno che verrà come l’occasione per incentivare gli strumenti tecnologici o per affinare strategie didattiche più interattive che possano far incuriosire davvero gli alunni. Ovviamente, la base è la riscoperta la scuola come luogo di formazione in toto per la persona, e non soltanto per determinate materie, e di conseguenza le relazioni più profonde con gli insegnanti aiuterebbero. Anche al campo, i ragazzi dicevano che un professore può proprio fare la differenza, se vuole».
In ultima battuta, in riferimento all’articolo pubblicato dalla rivista Vita.it, a proposito della partecipazione scolastica, Angela commenta che «già in tempi pre-covid l’impegno attivo degli studenti tra le mura dei loro istituti era calato, e al momento la tendenza non può che accentuare, purtroppo. A volte è una sensazione più “vittimistica” che reale, quella dei ragazzi che non vogliano metterci la faccia perché danno per scontato il fatto di non essere ascoltati. In primis, gli insegnanti stessi dovrebbero spiegar loro che impegnarsi a scuola è solo il primo passo per poi impegnarsi nel futuro in un qualunque contesto sociale, per approcciarsi ai problemi e cercare soluzioni insieme».
«Indubbiamente, i ragazzi devono essere i protagonisti della scuola, e gli adulti devono avere il compito di responsabilizzarli e dar loro la giusta considerazione che meritano».
Buon anno scolastico a tutti, con la seguente citazione di Daniel Pennac (Diario di scuola):
Difficile spiegarlo, ma spesso basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola di un adulto, fiduciosa, chiara ed equilibrata per dissolvere quei magoni, alleviare quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo. Naturalmente il beneficio sarà provvisorio, forse domani bisognerà ricominciare daccapo. Ma insegnare è proprio questo: ricominciare fino a scomparire come professori. Se non riusciamo a collocare i nostri studenti nell’indicativo presente della nostra lezione, se il nostro sapere e il piacere di servirsene non attecchiscono su quei ragazzini e quelle ragazzine, nel senso botanico del termine, la loro esistenza vacillerà sopra vuoti infiniti.
Francesca Bertuglia