Sta crescendo oramai da anni la pubblicistica sui cammini, fatta prevalentemente di guide ai percorsi e il cui obiettivo è far conoscere le virtù paesaggistiche e culturali dei vari itinerari. Il libro di Giovanni Colombo “Il Cammino di Lombardia. 50 giorni a piedi in cerca del Sentimento” (Terre di Mezzo, 2023) potrebbe a prima vista essere confuso come uno dei tanti esempi di questa letteratura, invece ci troviamo di fronte a qualcosa di molto diverso. Certo, chi volesse scoprire dei cammini piacevoli in terra lombarda troverà qui molti suggerimenti preziosi. Sono infatti raccontate 50 tappe di un cammino in tutte le province della regione, passato per oltre 300 comuni, percorse dall’autore nell’arco di 8 anni, una settimana all’anno, mischiando sentieri di montagna, vie pedonali e ciclabili che affiancano laghi e fiumi, stradine ordinarie di campagna e della grande pianura antropizzata e vie urbane di centri piccoli e medi: un’immersione nella natura e nella cultura lombarda profonda, con uno sguardo che ne valorizza le bellezze e le storie, spesso poco note e ignorate dalle guide. E tuttavia il testo di Colombo è soprattutto altro.
Un diario di ricerca
Esso è anzitutto il diario di un percorso umano di ricerca di senso. Anzi, per citare il sottotitolo, di ricerca del Sentimento, inteso come dimensione profonda dell’esistenza che abbraccia anima e corpo, spirito e carne, ragione e passione.
Chi conosce l’autore, già responsabile dell’Azione cattolica ambrosiana, presidente della Rosa Bianca e consigliere comunale di Milano per tanti anni, sa infatti quanto egli nei suoi interventi insista da tempo, con provocatoria ironia, sulla necessità di recuperare, nella pratica spirituale e religiosa, una più stretta relazione col corpo. Una relazione che si è andata indebolendo nella cultura cattolica degli ultimi cinque secoli, ma che non è affatto estranea alla storia del cristianesimo e che proprio nell’esperienza del cammino, quello del pellegrino, ha una delle sue espressioni più significative. Ed effettivamente il testo documenta molto precisamente la materialità dell’esperienza del camminare, così come il suo potere catartico. Andare a piedi a lungo e per giorni significa infatti sperimentare una forma di vera precarietà, che espone a frequenti condizioni avverse (freddo, caldo, pioggia, zanzare…) e a problemi fisici non abituali (la fatica muscolare nelle gambe, le piaghe ai piedi, il peso dello zaino sulle spalle…). Allo stesso tempo però l’esperienza del cammino dà la possibilità di sospendere temporaneamente la nostra attenzione dalle incombenze quotidiane e dagli affanni superficiali, permettendo di entrare più in contatto con una parte di sé più profonda e con un ascolto più attento del mondo e degli altri.
L’insieme di queste due esperienze ha un grande potere liberatorio. Si tratta cioè di un processo impegnativo, che fa uscire dalla quella che oggi viene chiamata la nostra “comfort zone”, e che come tale può far emergere tensioni e nodi normalmente contratti, arrivando persino a suscitare il pianto, come racconta vividamente l’autore, ma proprio in questo scioglimento delle contratture muscolari e interiori sta la sua capacità liberatoria e trasformativa.
Un cammino di incontri
Il cammino di Giovanni Colombo però non ha avuto un senso solo individuale e intimistico. Egli ha incontrato nelle varie tappe gli abitanti, le persone comuni che vivono e lavorano nei territori della provincia lombarda, ma anche esponenti della società civile locale, amministratori pubblici, politici. L’autore è stato inoltre affiancato, nel percorso, da vari compagni di strada, con i quali si è intessuto un dialogo, nel quale anche i nodi sociali, ecclesiali e politici sono riusciti a emergere con più libertà. Il cammino di Lombardia ha così avuto anche una forte valenza collettiva e appunto politica. Nel racconto emerge infatti un’idea molto attuale: la convinzione che per tornare a “pensare politicamente” questo territorio si debba tornare a guardarlo da vicino, soffermandovisi, ascoltando le persone, non limitandosi a batterlo in occasione delle elezioni per cercare solo un consenso di voto. La prima forma di politica è cioè andare fisicamente a sostare con chi vive nei territori, parlarci, mangiarci insieme. Percorrere a piedi i territori della Lombardia, ascoltare chi lì vive e lavora è dunque insieme metafora e strumento reale di un metodo diverso di fare politica. Un metodo paziente e dai tempi lunghi, ma forse l’unico possibile per invertire la rotta di una regione piena di risorse sociali, culturali ed economiche ma ancora molto ripiegata su un modello di sviluppo spesso frammentato in tanti particolarismi, poco sostenibile sul piano ambientale e poco aperto sul piano sociale.
Anche le comunità ecclesiali, forse, possono imparare qualcosa da un’esperienza come quella narrata da questo libro. Se infatti, come ci insegna Giovanni Colombo, il camminare può essere un’esperienza in cui prendiamo contatto con i nostri limiti e proprio per questo ci umanizziamo, allora anche l’esperienza collettiva del sinodo, cioè letteralmente del “camminare insieme”, che la Chiesa cattolica sta svolgendo in questi anni, può essere un’occasione per prendere coscienza della propria fragilità collettiva e così della necessità di ritornare ad avere lo sguardo umano, umile e non giudicante del pellegrino che cammina.
Emanuele Polizzi