La realtà è superiore all’idea.
Da anni questa frase risuona nel percorso dei giovani di Azione Cattolica.
Nel plurale e multiculturale mondo in cui viviamo, le diversità sono all’ordine del giorno e come giovani, futuro ormai presente dell’associazione, ne siamo affascinati e innamorati. Questo dell’innamoramento, non è uno stile che ci siamo inventati: ci è stato trasmesso con passione da persone che sono state per noi significative. Genitori, educatori, adulti, fratelli e sorelle poco più grandi di noi, ci hanno insegnato e mostrato quanta passione per l’altro deve esserci nella vita di ognuno perché sia una vita piena e degna di essere vissuta.
Ma non solo: nel Vangelo, Gesù stesso ci mostra come l’accoglienza e il dare la vita per il nostro prossimo, sia l’unica vera via per la gioia piena. La Parola ci parla di un amore rivoluzionario, che travolge e sconvolge la vita di ogni uomo: è un modo nuovo di relazionarsi all’altro che ne coglie l’unicità e i singoli carismi.
Gesù chiama i suoi per nome, uno alla volta, li conosce profondamente e chiede ad ognuno di testimoniare quest’attenzione unica verso ogni fratello che incontrerà lungo la strada. Ai tempi di Gesù, dire che un servo, una donna, un pubblicano o una prostituta erano degni di amore e di essere ascoltati quanto un uomo ed un ricco proprietario terriero, era una vera rivoluzione. L’amore di Dio, al quale Gesù ci chiede di tendere il più possibile, è senza “se” e senza “ma”, è totale accettazione di come siamo. Ognuno di noi della vicepresidenza giovani è stato colpito e segnato da questo amore e per questo ne sente la gioia e l’importanza nella propria vita.
E’ appunto con questo Spirito che abbiamo iniziato a riflettere sul percorso di persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ nell’associazione, inizialmente, e nella Chiesa, in maniera più ampia. Siamo rimasti colpiti, infatti, dalla sofferenza che spesso si trovano a vivere queste persone: talvolta perché rifiutate dalla loro famiglia, talvolta perché criticate ed osteggiate nelle loro comunità, altre ancora bloccate dalla paura di non essere più amati e riconosciuti dalle persone che hanno accanto. Fino ad arrivare a quelle persone che hanno subito veri e propri atti di discriminazione e di violenza.
E’ inaccettabile per noi pensare che nella nostra Chiesa e società ancora ci sia chi rifiuta o nega l’identità di fratelli e sorelle appartenenti alla comunità LGBTQ+. Queste forme di discriminazioni, a volte sottili e altre esplicite, hanno come fulcro l’identità innata degli individui ed incidono sul riconoscimento e l’autostima di chi le subisce, con conseguenze talvolta drammatiche nella loro vita.
Lo spiega bene il gesuita Giacomo Costa, che nel suo articolo su Aggiornamenti sociali scrive: “Sono fenomeni radicati non tanto nel terreno delle relazioni interpersonali, ma in un profondo malessere della nostra società e della nostra cultura: l’uguaglianza, pur affermata, resta una meta da conquistare.[…] La cultura dominante identifica un profilo che costituisce la “norma” – in Occidente tipicamente il maschio bianco eterosessuale autoctono – e legittima l’interpretazione delle differenze come condizione di inferiorità o minorità. La discriminazione e la violenza, verbale e/o fisica, non fanno che rimarcare questa condizione, perpetuando la gerarchia sociale vigente[…] L’affermazione dell’inferiorità degli uni è funzionale alla pretesa di superiorità degli altri. Inoltre, va sottolineato come gli atti di discriminazione e violenza di questo genere non colpiscano solo coloro che li subiscono direttamente: si traducono in una minaccia per tutti gli altri membri della società che vivono la medesima condizione.”
Il cambiamento che vediamo necessario è sostanzialmente culturale e riguarda tutti noi: ci dobbiamo impegnare singolarmente perché esso avvenga a livello politico, a livello ecclesiale ed a livello antropologico.
L’incontro con l’Altro diverso da noi, è da sempre una delle vie principali per scardinare pregiudizi, stereotipi e preconcetti che aleggiano intorno alle categorizzazioni che la società tende a fare delle persone. Questo accade perché l’incontro con l’altro ci regala la scoperta che, in fondo, ci lega più di quanto ci divida e che le sofferenze e le gioie di ciascuno sono simili, seppur declinate in maniera differente. Siamo parte della famiglia umana e ne condividiamo lo stesso desiderio di infinito, di essere amati e riconosciuti.
Spinti dalle vicende sociali e politiche degli ultimi mesi e anni e dal mandato di Papa Francesco all’AC di essere Chiesa in uscita, come Chiesa milanese abbiamo deciso di uscire e non chiuderci tra le mura degli schieramenti e della retorica.
Il primo passo, che ci è sembrato inevitabile, è stato la conoscenza e l’incontro con altri giovani cattolici esterni all’associazione. E’ in questo modo che abbiamo contattato i giovani del Guado (https://cascinasanboezio.it/), giovani cristiani LGBTQ+, con i quali abbiamo iniziato a sognare di camminare insieme e costruire spazi comuni in cui poter crescere insieme come giovani cattolici e come uomini e donne nel mondo. Lo abbiamo fatto nella semplicità di spezzare il pane insieme, condividendo una cena e storie di vita di ciascuno. La meraviglia e la gioia dell’incontro erano palpabili da tutti i presenti: trovare una tavola preparata con cura ci ha permesso di sentirci accolti e di lasciarci andare, confrontandoci sulle nostre esperienze. La speranza che si percepiva a quella cena era la certezza crescente che non sarebbe stata un’esperienza una tantum, niente più di una serata, ma che da quel primo contatto gioioso sarebbe scaturito qualcosa di bello e duraturo per il futuro.
E’ stato semplice infatti, dalle parole passare ad immaginare progetti concreti da fare insieme, luoghi di confronti, gruppi di lavoro non solo sulle tematiche di inclusione LGBTQ+, ma anche su altri temi che stanno a cuore. Il sacerdote che sedeva a tavola con noi ci ha spronati, infatti, a passare ai fatti, a vivere insieme la Spiritualità di Cristo, perchè come ci ha mostrato: “è molto più importante vivere la realtà di un altro al suo fianco, piuttosto che parlarne a debita distanza”. Conoscere l’altro ci impone lo sforzo di mettere le sue scarpe e provare a camminare nella sua pelle.
Non è facile, ma è l’unico modo per amare l’altro autenticamente ed è proprio questo che il Vangelo ci chiede.
Come cristiani ce la metteremo tutta: desideriamo una Chiesa, a partire da noi stessi, che sia veramente aperta ed accogliente nei confronti di ognuno.
Come cristiani e cittadini ci auguriamo che le istituzioni e soprattutto chi ne fa parte e si dice cattolico, smettano di strumentalizzare un tema tanto importante e delicato, diventino veramente accoglienti e si dedichino a tutelare tutte le persone, soprattutto coloro che sono oggetto di discriminazione da tempo.
La VicePresidenza Giovani dell’Azione Cattolica ambrosiana
Mi complimento con voi per i contenuti espressi e per l’iniziativa che avete preso: spero possa essere di stimolo per tutti i giovani delle nostre comunità parrocchiali. Guardarsi in faccia è il primo passo per la conoscenza e il rispetto reciproci
Gianluigi pizzi
Bravissimi, grazie per la vostra presa di posizione.
Dopo i primi fiori sbocciati in Sicilia oggi la primavera è arrivata anche dall’altro estremo della penisola! Grazie per questi fiori di speranza, l’Amore a cui Cristo ci ha chiamati dona regali inaspettati e coloratissimi! Portiamo questo spirito di rinnovamento in tutta la chiesa…
Un abbraccio forte❣️❣️❣️
Carissima Vicepresidente, il Vangelo è esigente e ci chiede di amare come Gesù. Costruiamo ponti e non muri che alimentano solo rancore e tristezza. Tuttavia in questo testo non sono chiari alcuni passaggi che a mio parere meritano di essere approfonditi. Siamo proprio sicuri che il problema sia scardinare una cultura dominante? Di quale cultura dominante si tratta? Quella del maschio eterosessuale autoctono che legittima la violenza? O piuttosto la cultura della violenza, dell’oppressione dei poveri e della loro strumentalizzazione che appartiene al mondo intero e al cuore del singolo uomo schiavo del peccato? Che cosa significa cambiamento a livello antropologico? Cosa si intende in questo testo con l’espressione “livello antropologico”? Cosa significa rifiutare e negare l’identità di fratelli e sorelle appartenenti alla comunità LGBTQ+? Non è chiaro nel testo. Aspetto una risposta per comprendere meglio. Grazie!