intervista con Giuseppe Notarstefano di Gianni Di Santo
«Fu grazie alla mia insegnante di religione delle medie che conobbi, quando ero ragazzo, l’Acr. Fu lei a suggerirmi l’esperienza di questo gruppetto. Da lì in poi ho costruito il mio percorso di vita e di fede. Mi piace dire che l’Azione cattolica non solo ha accompagnato il mio servizio ecclesiale, ma ha dato forma e struttura alla mia vita. Sì, l’associazione ti forma».
Giuseppe Notarstefano, 51 anni, sposato con Milena e padre di Marco, undicenne, che anche durante l’intervista, continua a telefonare per fargli ascoltare l’ultima lezione di pianoforte, è stato nominato dalla Cei, lo scorso 27 maggio, Presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana per il triennio 2021-2024.
Una vita in Ac, la sua. Ha vissuto gli anni della giovinezza a Canicattì, in provincia di Agrigento. L’esperienza associativa, e in particolare il servizio educativo e l’impegno sociale, hanno accompagnato le diverse fasi della sua vita: è stato responsabile diocesano dell’Acr nella diocesi di Agrigento; poi, dal 1999 al 2005, responsabile nazionale dell’Acr, componente del Centro studi di Ac, e negli ultimi sette anni, vicepresidente nazionale per il settore Adulti.
Ma anche una vita in “uscita”, come direbbe papa Francesco. Dal 2009 al 2019 è stato direttore dell’Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro dell’arcidiocesi di Palermo, e oggi collabora come esperto all’Ufficio nazionale della pastorale sociale e del lavoro della Cei e, dal 2016, è componente del Comitato scientifico organizzativo delle Settimane Sociali dei cattolici italiani.
Una passione per il sociale e l’economia che ha sempre coltivato sia negli studi – insegna Statistica economica presso la sede di Palermo dell’Università Lumsa – sia promuovendo un network siciliano di Economia civile, insieme ad altre attività sul campo della formazione, ricerca e animazione culturale.
L’associazione ti forma, dunque…
Esatto. Ti forma a essere Chiesa di popolo che cammina tra le strade del mondo, a esprimere quotidianamente una testimonianza per il bene comune. Sento particolarmente forte il legame con la mia terra, la Sicilia. Una terra che, ancora oggi, vive la tensione tra profezia evangelica, partecipazione democratica e giustizia sociale. In questo senso è stata per me formativa la collaborazione con l’Istituto di formazione politica “Pedro Arrupe”, segno prezioso della Compagnia di Gesù a Palermo, che ha saputo accompagnare diverse stagioni di rinnovamento civile e sociale. Penso a periodi particolarmente partecipati e intensi come quelli dell’esperienza dei “Cantieri” che hanno accompagnato e caratterizzato la stagione di impegno politico-sociale di Rita Borsellino, ma anche, negli ultimi anni, alla sperimentazione di percorsi generativi di formazione politica nelle periferie.
“Essere in uscita”, per citare una delle frasi di papa Francesco che in Ac sentiamo nostra, significa riconoscere che il primato della vita rimette al centro la sfida esigente della formazione di coscienze credenti, di laici adulti capaci di abitare lo spazio pubblico e di stare dalla parte dei deboli e dei poveri. E questo primato della vita ci dice che dobbiamo cercare di far convivere il grande progetto di Dio che si dischiude davanti a noi ogni giorno con la complessità quotidiana, le contraddizioni e i conflitti, le relazioni a volte difficili ma sempre edificanti, e le domande di giustizia sociale che interpellano la realtà in cui siamo immersi.
Una prima parola per l’Ac di oggi: ambiente, ecologia integrale.
Ho colto con entusiasmo l’enciclica Laudato si’ perché la consapevolezza della cura dell’ambiente e della custodia del creato – laicamente potremmo dire della elaborazione di un modello di sviluppo e progresso sociale sostenibile –, tiene insieme tutte le dimensioni, quella antropologica e culturale, l’ambiente, le relazioni umane e sociali, l’economia e le istituzioni intese come regole e pratiche del vivere civile. Se il Papa guarda alla Terra, il nostro Pianeta, come casa comune, noi riconosciamo che questa è la strada da seguire, il nostro impegno per un mondo più sostenibile, più giusto, più solidale. La grande questione della transizione ecologica si regge sulla ricerca di un modello di sviluppo che mette insieme la dimensione micro dei nostri comportamenti e scelte individuali, diremmo degli “stili di vita”, e la dimensione macro, la nostra risposta a una globalizzazione in-equa e sregolata che se in parte ha avvicinato il mondo, dall’altra ha provocato delle profonde distanze sociali. Di fronte a ciò non possiamo tacere.
Riprendere un po’ di sintonia con la politica?
È un tema che in questi anni ci ha sanamente tormentato, perché ha a che fare con la consapevolezza che la vita cristiana prende forma nella partecipazione competente e solidale alla costruzione del Bene di “noi-tutti”, come lo definisce papa Benedetto XVI nella Caritas in Veritate. Prendo ancora in prestito le parole dell’attuale pontefice: il Vangelo ha una sua ineludibile dimensione sociale. Poi, certo, la politica oggi è cambiata. Ci si rapporta spesso a essa con modalità nuove, a una architettura più complessa di sistemi e livelli di governo dei processi sociali ma anche a forme più fluide e reticolari, introdotte dalla diffusione dei social media. Però sono convinto che ripensare la politica, oggi, significhi per le persone prendersi cura della partecipazione di tutti attraverso forme antiche e nuove di cittadinanza attiva. Persone consapevoli del loro essere cittadini.
Questo richiede darsi da fare per la vita della propria città, dei propri territori, per gli altri che abitano con noi tali luoghi.
Ci vogliono le grandi visioni, le “visioni di futuro”, certo. Ma ci vuole anche la pratica della democrazia partecipativa nei territori, quel “ricominciare dal basso”, proprio là dove la politica con la P maiuscola soffre e lascia territori sconfinati dove l’ingiustizia e la rabbia sociale crescono. La dialettica digitale e di contrapposizione in cui vive la politica oggi non dà spazio alla mediazione, me ne rendo conto. E questo lo soffriamo molto, come cattolici. Ma, nonostante ciò, dovremmo recuperare percorsi concreti di cura di alcune cose che ci riguardano tutti e che promuovono un “noi” più grande, indipendentemente dal partito o dall’idea politica che si è scelti. Questo è il bene comune. Sul bene comune non è possibile abbassare la guardia. Sul bene comune dovremmo unire i nostri sforzi per una vita bella, armoniosa, che non lascia indietro nessuno.
Altra parola: sinodalità. In questi giorni se ne è parlato molto.
Siamo contenti che Francesco abbia riconosciuto all’associazione il fatto che sia una “palestra di sinodalità” e che questo nostro servizio venga messo a disposizione del cammino sinodale che la Chiesa italiana ha davanti per i prossimi anni. Per noi sinodalità significa anche cultura delle alleanze: fare insieme agli altri e condividere un percorso comune, impegnarsi perché la nostra Chiesa in Italia sia sempre segno del Vangelo che si incarna nella vita delle persone.
Cosa augureresti all’Ac?
Auguro all’Ac di essere sempre questa esperienza di vita bella che ho incontrato da piccolo e che ancora oggi mi accompagna. Il luogo dove si incontra il grado più bello dell’esperienza dell’amicizia e della fraternità autentica e dove tutti sono chiamati a partecipare, sollecitati a dare il meglio di sé. L’augurio è di essere un’Ac fedele alla sua storia a servizio delle comunità e in uscita sulle strade del Vangelo in compagnia di donne e di uomini che solo insieme fanno la differenza.