Approfondire il valore educativo e pastorale dell’oratorio nella società contemporanea, a partire dalla storia degli oratori lombardi. Questo l’obiettivo di “Oratorio: una profezia che si rinnova”, la giornata di studio che Università Cattolica e Fondazione oratori milanesi (Fom) promuovono giovedì 11 novembre, dalle 9 alle 17.30, nell’aula Pio XI in largo Gemelli a Milano. Interverrà l’arcivescovo, mons. Mario Delpini.
Tra i relatori due nomi di spicco dell’Azione cattolica e della pedagogia: Paola Bignardi e Pierpaolo Triani. In questo articolo per il sito dell’Ac ambrosiana, la prof.ssa Bignardi anticipa alcune delle considerazioni che svolgerà nella sua relazione.
Gli oratori sono un’invenzione geniale della comunità cristiana, attenta ai più piccoli in vista della loro formazione cristiana, e anche umana e sociale. E questo, a partire da epoche in cui ai bambini e ai ragazzi era riservata poca o nessuna attenzione al di fuori della famiglia. Vengono alla mente nomi illustri di santi che hanno messo la loro passione per il Vangelo a servizio dei piccoli, e lo hanno fatto con la creatività necessaria per comunicare con loro. Filippo Neri e don Bosco: due nomi tra i tanti, con le loro invenzioni fantasiose per coinvolgere i ragazzi.
Nel 1929 a Milano il card. Schuster raccomandava che in ogni parrocchia vi fosse anche un oratorio femminile, segno di una nuova attenzione per la formazione cristiana delle ragazze. Gli oratori femminili furono investiti di molteplici funzioni: “istruzione religiosa, costruzione di ‘amicizie sante’, sano divertimento, trasmissione di esempi di vita cristiana”.
Così le bambine, le ragazze, le giovani hanno cominciato a frequentare l’oratorio, almeno in Lombardia e in genere al Nord.
Le donne, pur ancora considerate gli angeli del focolare, cominciarono ad essere impegnate per obiettivi che riguardavano ciò che sta oltre la soglia della propria casa, magari anche solo per difendere quella soglia. Mentre la politica non riconosceva ancora la loro responsabilità di cittadine, ammesse al voto nel 1946 (cioè solo 75 anni fa!), nella Chiesa vi fu un movimento che sempre meno timidamente favoriva la presa di coscienza da parte delle donne delle loro responsabilità.
Era riservato a loro, il loro oratorio quasi sempre gestito dalle suore, con una rigida distinzione rispetto a quello maschile. Ma era un inizio importante per offrire alle ragazze un’educazione cristiana che avveniva al di fuori della famiglia, per garantire loro una socializzazione possibile anche oltre la scuola – per quelle che la frequentavano – e poi incontri, relazioni, una socialità allargata rispetto a quella consentita allora alle ragazze, e un’educazione al centro della quale stava la formazione catechistica, cioè una introduzione consapevole alla vita cristiana. L’oratorio era anche la possibilità di incontrare figure adulte significative, spesso figure di suore che sono state le educatrici e le animatrici discrete di una vita oratoriana che si è avvantaggiata della loro presenza, testimonianza, saggezza educativa.
Così cresceva anche in una generazione femminile, che tanta parte ha avuto nella vita della comunità cristiana e del nostro paese, la coscienza della propria responsabilità ecclesiale e sociale, e la legittimità di essa anche per le donne.
Mentre i cambiamenti sociali e culturali avvenivano con un’accelerazione crescente, la Chiesa preparava e celebrava un Concilio che era destinato a porla in sintonia con la sensibilità della gente, in una prospettiva di reinterpretazione del messaggio cristiano che voleva mostrarsi “Parola per sempre” detta con le parole di oggi.
Dopo il Concilio, per le donne – e non solo per loro – nella Chiesa tutto sembrava diventato più facile, ma fu un’illusione. Gli oratori femminili andarono scomparendo a poco a poco e quelli maschili diventarono l’oratorio, con una significativa identificazione che denotava una riconosciuta – ma era veramente così? – pari dignità. Negli oratori stava avvenendo quello che era già avvenuto nella scuola, dove ragazzi e ragazze conducevano insieme la loro esperienza formativa. Le giovani venivano riconosciute e accolte, spesso a scapito della forma originale della loro sensibilità di donne.
Negli oratori, come nella Chiesa, non si è posto mente al fatto che le donne hanno un loro modo di credere, di decidere, di entrare in relazione, come dimostrano anche recenti ricerche, tra cui quelle dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo.
Mi pare che nella parabola degli oratori femminili si possa leggere, in maniera quasi paradigmatica, la questione femminile nella Chiesa. Gli oratori hanno un’importante opportunità: divenire laboratorio di una nuova presenza femminile: donne e uomini insieme, dove a parlare non sono solo gli uomini; donne e uomini insieme, dove a decidere non sono solo gli uomini; donne e uomini insieme, dove a produrre pensiero non sono solo gli uomini.
Il volto femminile dell’oratorio non è ovviamente il ritorno agli oratori femminili, separati e distinti da quelli maschili. Il volto femminile degli oratori è quello in cui le donne sono ascoltate, accolte e valorizzate nel loro essere donne, nella loro specifica sensibilità.
Se la Chiesa non vuol perdere le donne non basta che pubblichi documenti, spesso molto belli; occorre che cominci a mettere in pratica un po’ di quel sapiente magistero, che ha intuito che la comunità cristiana ha un futuro solo se saprà essere una comunità di uomini e di donne, rispettati nella loro identità e nella loro reciprocità.
La messa in pratica del magistero dipende dalla Chiesa concreta; gli oratori ne sono un’espressione importante.
Paola Bignardi