Alberto Galimberti è autore di “Alessandro Del Piero. L’ultimo atto di un campione infinito“.
33 anni. Giornalista, docente e scrittore, un’adolescenza spesa nell’Azione Cattolica. Consigliere Diocesano di Azione cattolica dal 2014 al 2017. Attuale Collaboratore di Segno nel Mondo, trimestrale nazionale dell’Azione Cattolica. Lo abbiamo intervistato.
Alberto, come e dove nasce l’idea del libro?
A dieci anni di distanza ho deciso di tornare lì, sul luogo dove l’addio tracimante d’affetto si è consumato, la bellezza del calcio svelata, il senso nobile dello sport sublimato, per provare a raccontare le gesta di Alex Del Piero. L’idea affonda le radici nella mia fanciullezza. Pertanto è un libro scritto con il cuore e il cervello. Il cuore è quello di un adolescente appassionato di sport e di calcio, che con il cervello di una persona adulta ha tentato di ritagliare ricordi ed emozioni per riversarli nero su bianco, sfilandoli dal passato affinché brillassero nel presente.
Partire dalla fine per cercare il senso dell’inizio?
Esatto. Lo spunto narrativo deriva dallo struggente giro di campo della bandiera juventina a partita ancora in corso, il 13 maggio 2012, durante Juventus – Atalanta. Saluto inciso nella memoria collettiva.
Un commosso commiato che muta in evento spartiacque. Nasce spontaneamente e altrettanto spontaneamente muore. Il campione veneto e i supporter bianconeri si scambiano parole definitive: il primo fra sguardi e silenzi, i secondi con pianti e cori. Confezionando un’uscita di scena perfetta, unica nel suo genere: sprigiona il delicato splendore della sincerità; sgocciola istanti di meraviglia.
Ripercorri a ritroso l’intera carriera di Pinturicchio, illuminando i momenti salienti…
Provo a riavvolgere il nastro della vicenda umana e calcistica di Del Piero, passando in rassegna gli snodi cruciali. Dagli esordi con il Padova all’approdo alla Juventus, dalla conquista della Coppa Intercontinentale al grave infortunio patito a Udine, dal varo del tiro alla Del Piero alle lacrime di Bari per la scomparsa del padre, dalla magica notte mondiale di Dortmund alla retrocessione in serie B con le insegne da campione del mondo. Un viaggio scandito da sfavillanti successi e sonore sconfitte, cadute repentine e insperate rinascite. Del Piero ha vissuto tutte le stagioni della vita. Perciò qualsiasi tifoso può riconoscersi nella sua storia: se non in tutta quanta, almeno in una delle possibili istantanee, sequenze. È stato affascinante, doveroso e giusto provare a narrarne “le gesta” affinché la sua storia, un inno al calcio, non vada perduta.
Dal punto di vista tecnico, quale tipo di calciatore è stato Alex Del Piero?
L’attaccante veneto si può annoverare nella cerchia ristretta dei grandi numeri 10, ha un posto d’onore in questa categoria. Sul campo, senza tema di smentita, possiamo affermare che sia stato una tangibile testimonianza di numero 10 completo, possiamo persino spingerci ad affermare che abbia traghettato la Juventus nella modernità. Univa la classe sopraffina alla caparbietà agonistica, il genio del fantasista alla grinta del gregario che lotta su ogni pallone, la potenza atletica alla pulizia del gesto tecnico e alla qualità nel tocco di palla. Risultando poetico e pragmatico, segnando reti che appagavano l’occhio e saziavano l’efficacia. In altre parole: le sue marcature mandavano in visibilio i tifosi e, ugualmente, risolvevano l’esito di una gara, invertivano il senso di una stagione, determinavano le sorti di una competizione.
Puoi staccarci un esempio?
Volentieri. La rete siglata il 26 novembre 1996 a Tokyo, durante la finale di Coppa Intercontinentale giocata contro il River Plate, che issa la Juventus sul tetto del mondo. Un destro potente e preciso dardeggiato a pochi minuti dai supplementari. Un micidiale colpo balistico di prontezza e qualità.
Quali sono invece le doti morali dell’ex capitano bianconero?
L’uomo è stato coerente con la figura del calciatore. Sovrapposte, le due immagini collimano senza sbavature, infingimenti, reticenze. Fuori dal rettangolo di gioco possedeva doti temperamentali fondamentali quali l’intelligenza e l’umiltà, la lucidità di giudizio e il carisma della leadership. Questo bagaglio di valori umani gli ha permesso di risalire la china, superando i frangenti più cupi, i periodi peggiori della carriera: le severe stroncature della stampa, i tremendi infortuni patiti, gli umilianti declassamenti in panchina subiti. Temprato dalla vita, forgiato dal travaglio, ha riportato in auge la Juventus e la propria stella a brillare nel firmamento del calcio dopo che si era eclissata nelle stagioni a cavallo del 2000.
Non ti sembra troppo impegnativo l’uso dell’aggettivo “infinito”?
No. Provo a spiegare il perché. Alessandro è stato un campione a tutto tondo. Mai una parola fuori posto, una frase sopra le righe, un comportamento disdicevole che potesse destabilizzare l’ambiente, dividere lo spogliatoio e gli spalti. Anteponendo il bene della squadra alla gloria personale, il collettivo all’individualità. Di più. Ha sempre risposte alle critiche con i fatti, l’ultima parola spetta al campo e spazza via tutte le altre. Un lampante esempio di lealtà, dedizione e cultura sportiva, come scrive Bruno Pizzul nella prefazione del libro.
A proposito di Bruno Pizzul, che è un caro amico di Azione Cattolica. La sua è stata la voce che per decenni ha raccontato la Seria A e, soprattutto, la nazionale azzurra entrando nelle case e nel cuore degli italiani. Quanto valgono le parole spese nella prefazione, suggellate dalla chiosa “Bel lavoro, Galimberti”?
In tutta sincerità, è difficile quantificare il loro valore. Umanamente restano incommensurabili: la mia generazione è cresciuta ascoltando le sue telecronache. Sono grato e riconoscente a Bruno Pizzul per aver risposto “presente” alla mia “convocazione”, con generosità e competenza, garbo ed entusiasmo: virtù preziose, capaci di fare la differenza nel racconto del calcio come nella cronaca quotidiana della vita. Ospitare la sua voce nella prefazione del libro – ne ho piena consapevolezza – è un grandissimo onore. Una voce sobria e autorevole. In una professione dove spopola sempre più la cronaca urlata e spettacolare, Pizzul è stato un commentatore ponderato e onesto. In un linguaggio dove dilagano enfasi e iperboli, è stato un cronista elegante nella forma ed evocativo nella descrizione; pur essendo parsimonioso di superlativi e allergico ai parossismi. Insomma, è stato mentore e maestro.
Veniamo alla strettissima attualità, Alberto. Indiscrezioni e interviste si rincorrono, mentre i tifosi auspicano un ritorno di Del Piero nel club bianconero. Sarà lui il prossimo vicepresidente della Juventus?
Calma e gesso. Da un lato, occorre rispettare il silenzio volutamente steso da Del Piero – tramite un post diramato sui social – per sottrarsi a qualsiasi speculazione di sorta; dall’altro, provando a rispondere, vestire serietà senza millantare certezze, trasformando voci in verità.
Del Piero è un patrimonio del calcio italiano, è una persona intelligente che se deve occupare un ruolo lo fa con contezza di causa, equilibrio e serietà. Lui rappresenta la juventinità per antonomasia. Potrebbe diventare una figura alla Boniperti, un’icona e una bandiera che tutela i valori di più generazioni di juventini, come stanno suggerendo diversi suoi ex-compagni di squadra e alcuni addetti al lavoro. Il sogno legittimo dei tifosi è quello di rivederlo a Torino e chissà che, prima o poi, non si avveri.
Quando hai iniziato la stesura del testo e quanto tempo hai impiegato per scrivere il libro?
Il primo coro intonato allo stadio, la prima maglietta indossata, il primo “gol alla Del Piero” imitato sul campetto dell’oratorio: avevo dieci anni e stavo iniziando a scrivere questo libro. Allora, non potevo lontanamente sospettarlo. Adesso, ne ho la certezza.
Hai citato l’oratorio. Quanto è stata importante, insieme all’Ac, nella tua formazione?
Molto. Direi fondamentale. Vivere l’associazionismo cattolico mi ha permesso di crescere come persona, maturando una visione del mondo improntata alla speranza. Nel caso specifico, di concepire lo sport come potente metafora della vita, dove si avvicendano felicità e tristezza, sollievo e scoramento, trionfi e tonfi. Imparando che non esiste conquista senza dedizione, splendore senza sacrifico, vittoria senza sconfitta.
Progetti in cantiere per il futuro?
Condividere con i lettori e gli appassionati di sport, di calcio, le emozioni che palpitano nel libro. A torto, si ritiene la scrittura un gesto individuale. Al contrario, è un gesto collettivo: le parole, le narrazioni e le storie (ri)vivono nelle persone che le accolgono, ospitano, fanno proprie. Usciamo da un periodo terribile: la pandemia, il lockdown, l’isolamento fisico. Stiamo lentamente tornando a incontrarci, dialogare, creare comunità. Persuasi di una limpida verità: noi esseri umani siamo fatti per stare insieme.
Un’ultima domanda: il merito maggiore di Del Piero?
Campione esemplare, capitano leale, calciatore formidabile, Del Piero ha tramutato le reti in record, i traguardi in primati, ma soprattutto ha saputo stringere un legame speciale con i tifosi. Merito quest’ultimo che vale più della vincita di coppe e campionati, procede oltre la conquista di trofei e titoli.