«Il fascino ordinario della santità» è il tema del convegno svoltosi alla Casa Schuster in vista della loro beatificazione, che avverrà il 30 aprile in Duomo.
Annamaria Braccini
chiesadimilano.it
«Approfondire due figure di grande spiritualità che hanno fatto tanto, con coerente attivismo ambrosiano, essendo plasmate dal contesto in cui sono cresciute, la parrocchia, la Chiesa ambrosiana, l’associazione». Questo l’obiettivo – espresso nelle parole di benvenuto del presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana, Gianni Borsa -, pienamente raggiunto dal convegno che si è svolto, presso la Casa Cardinale Ildefonso Schuster, con il titolo “Il fascino ordinario della santità. Armida Barelli e don Mario Ciceri”.
Aperto dal vicario generale, monsignor Franco Agnesi, l’incontro, a più qualificate voci, ha visto la presenza, tra gli altri, dei vescovi monsignor Luigi Stucchi e monsignor Giuseppe Merisi, del presidente dell’Associazione “Amici di don Mario Ciceri”, Luigi Corno e del responsabile della Comunità pastorale “Regina degli Apostoli”, che si compone anche delle parrocchie di Sulbiate e della località Brentana (dove Ciceri fu parroco), don Stefano Strada.
Occasione della mattinata di studi, prevista nel percorso di avvicinamento alla beatificazione di Barelli e Ciceri che si svolgerà il prossimo 30 aprile in Duomo, anche la pubblicazione da parte di “In Dialogo” di due saggi dedicati ad Armida Barelli.
Il saluto del Vicario generale
«Ci sono santi e beati che si impongono alla nostra vita, che ci affascinano magari nella nostra giovinezza e altri, della porta accanto, che custodiscono sorprese e che, oggi, possiamo scoprire», osserva, in apertura, monsignor Agnesi che aggiunge. «Queste due personalità sono diverse, ma accomunate dal battesimo e dall’essere vissute nel cosiddetto secolo breve, il XX. A loro rivolgiamo la stessa preghiera, perché tutti vivano la loro vita come risposta a una vocazione, ognuno per la sua via, come dice la Costituzione dogmatica conciliare “Lumen Gentium”. Sentiamoci tutti incoraggiati a camminare sulla strada che ci indica il Signore».
Armida Barelli
Poi, la prima comunicazione portata, rispettivamente su Barelli e Ciceri, dallo storico e saggista Luca Diliberto e dall’assistente ecclesiastico diocesano di Azione Cattolica, don Cristiano Passoni.
Spiega Diliberto, autore del libro “Armida Barelli da Milano al mondo. Protagonista femminile di una società in trasformazione” (In Dialogo Ed). «Armida Barelli, affidandosi al suo Dio, cercò sempre le forme adeguate di una testimonianza incarnata nella storia che viveva, adeguate per sé e per gli altri, in particolare per le giovani donne che da lei imparavano, collegate le une con e altre, la bellezza di essere cittadine a pieno titolo. Fu figlia di questa terra e di questa Chiesa, con una biografia nella quale l’ambito familiare – che le fornì strumenti di educazione e culturali non scontati per l’epoca – ebbe un ruolo tutt’altro che irrilevante in una Milano che, alla fine dell’800, stava vivendo enormi trasformazioni. Non dimentichiamo che il primo contatto con la Chiesa ambrosiana, tra il 1908-1909 per un corso di formazione, avvenne quando aveva 20 anni. Incontrò, allora, il cardinal Ferrari e Rita Tonoli – fondatrice profetica della “Piccola opera” per bimbi soli e indigenti – che divenne il tramite per giungere a padre Gemelli. Con lui sperimentò l’importantissima consacrazione dei soldati al Sacro Cuore, nel 1917, e un sodalizio, per l’Università Cattolica, che durò tutta la sua vita, fino alla morte avvenuta nel giorno di ferragosto del 1952. Fu lei il motore di grandi iniziative pionieristiche come la Gioventù femminile e la fondazione delle Missionarie della Regalità di Cristo. La sua fu una vocazione piena nella Chiesa che significò mettersi in gioco, nella storia, come donna e credente rigorosa anzitutto con se stessa», conclude Diliberto.
Don Mario Ciceri
«Ciceri nasce nel 1900 – sulla soglia di un secolo che si apriva nel segno dell’ottimismo, orientato verso la pace e il progresso -, l’anno del primo Giubileo indetto da Leone XIII», sottolinea, da parte sua, don Passoni.
Don Mario sente presto la vocazione, entra in seminario a Seveso e vive la sua formazione nel periodo della Grande guerra – scrisse su “Il Nodo”, foglio nato per tenere in contatto i seminaristi al fronte con le famiglie, i compagni e i superiori del Seminario. Un’esperienza che si rivelerà preziosa nel secondo conflitto mondiale.
«Diventa prete nel 1924 e viene inviato nella destinazione di Brentana nel comune di Sulbiate, l’unica della sua vita, dove rimarrà fino alla morte, il 9 febbraio 1945, esercitando i tratti ordinari di un Ministero vissuto in oratorio, tra la gente; contribuendo a costituire l’Azione Cattolica del suo paese. Istituisce, durante la Seconda guerra mondiale, un bollettino – “La voce amica” – per stare accanto ai suoi ragazzi al fronte. È questa l’essenzialità con cui don Mario entra nel cuore», suggerisce don Passoni.
«Nel 1943 cerca di soccorrere chiunque, la gente sbandata dopo l’armistizio. Poi, il banale incidente, dalla dinamica non chiara, di cui rimane vittima nel ‘45 e la morte, dopo molti giorni di agonia, con un intero paese che si mobilita. Nel 1985 riceverà la Medaglia d’Oro alla memoria dei “Ribelli per amore”».
Chiare le chiavi di lettura per comprendere questa esistenza generosa, che ora giunge alla beatificazione. «Una santità della porta accanto, vissuta nel Ministero trasformato da un popolo e i il segreto della sua vita, il rifiuto dell’apparire».
Armida Barelli letta “al femminile”
A delineare la figura della “Sorella maggiore”, nella sua comunicazione “Il centuplo promesso. Madri e sorelle. Attorno ad Armida Barelli”, è la teologa, docente della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e già presiedente del Coordinamento delle Teologhe Italiane, Cristina Simonelli che dice. «Anzitutto in lei c’era la donna che ha lasciato un’eredità grande, il centuplo evangelico, con una sorta di maternità – pur senza avere figli -, identificata anche dal suo essere definita la Sorella maggiore. Fu, come la voleva il cardinale Ferrari, intelligente, ma non intellettualistica, condiscendente, ma non cedevole. In questo ultimo aggettivo sta la sua intera esistenza nella Gioventù femminile, nella militanza in Azione Cattolica, nell’Università, tra le Missionarie della Regalità, fondate, al fine di vivere nella sequela di Cristo una laicità nel mondo, con anticipo rispetto alla Costituzione apostolica “Provida Mater Ecclesia” di Pio XII e del successivo Motu proprio “Primo feliciter” per gli Istituti secolari.
Tutto questo, cosi come la consacrazione dei soldati al Sacro cuore – definita da Simonelli, un estremo grido pace -, trova spezio in una trama molto più grande di relazioni, di consonanza e di profondità capaci di comunicare oltre le differenze. È un “femminile” che non sa di dolciastro, ma di custodia, appunto, di tutte le differenze».
“Un ministero per l’oggi. Sulla scia di don Mario Ciceri”
Infine, prima delle conclusioni di Gianni Borsa attento a evidenziare il lascito esemplare dei due futuri beati, è la volta della relazione di don Claudio Stercal, teologo, direttore del Centro Studi di Spiritualità della Ftis e docente dell’Ateneo
Dagli appunti di Ciceri scritti tra il 1924 e il ’37, durante alcuni Corsi di Esercizi spirituali, prende avvio la riflessione.
Tra la «diligenza iniziale», nell’annotare le predicazioni degli anni 1924-1929, sino «all’emergere di qualche difficoltà» nel 1934, alla successiva maturazione e agli sviluppi verso l’«approfondimento della vita interiore», la via che si delinea – responsabilità e compito anche per noi oggi – è la chiara comprensione della necessità di una spiritualità «da recuperare anche nella centralità della relazione personale». Così come don Mario incarnò sempre nel rapporto con la sua gente, i suoi ragazzi di oratorio, il mondo, magari fatto di piccole cose e di gente minuta, che gli fu proprio.
Si può, allora, utilmente citare, come ha fatto don Stercal, quanto san Giovanni Battista Montini – ovviamente con altra visione di prospettiva e cultura, ma con lo stesso innamoramento del Signore – scriveva nel volume “Introduzione allo studio di Cristo” del 1933, distinguendo tra interpretazione teologica, che aiuta e pensare a Gesù, e un’interpretazione mistica nella quale «la dottrina diviene principio generatore di vita interiore e cerca di suscitarvi da profondità forse sconosciute una coscienza religiosa corrispondente ai misteri studiati. La rivelazione di Dio diventa rivelazione dell’uomo». E, così, capacità pastorale e umana di essergli sempre accanto.