Parlare e discutere dei Dieci Comandamenti in questo periodo storico non è molto di moda.
La parola “comandamento” richiama, in prima battuta, alla mente degli uomini e delle donne del nostro tempo qualcosa di negativo, coercitivo, un limite alla propria libertà e alle proprie scelte personali. I Comandamenti vengono sempre più intesi come sferzate morali, parole davvero scolpite nella pietra come austeri dinieghi, un’intromissione fastidiosa della Chiesa e dei suoi rappresentanti nella vita privata delle persone. Se la visione che oggi va per la maggiore è questa, significa che è stato fatto un cattivo servizio al Decalogo e al suo più autentico e profondo significato.
Il volume «Comandamenti per la libertà. Il decalogo tra coscienza religiosa e civile», curato da Gaia De Vecchi ed Alberto Mattioli per le edizioni In Dialogo – ITL libri, uscito da poco nelle librerie, è senza ombra di dubbio un contributo importante al dibattito su questi temi. Esso cerca di ribaltare questa visione negativa presente nell’opinione pubblica, attualizzando e calando nella realtà concreta di oggi i precetti consegnati allora a Mosè sul monte Sinai.
Comandamenti per la libertà
Comandamenti per la libertà
Il decalogo tra coscienza religiosa e civile. Acquistabile online su https://www.itl-libri.com/prodotto/comandamenti-per-la-liberta
Attualizzare il Decalogo
Questa nuova pubblicazione è una rilettura fresca e moderna del Decalogo biblico e indica una strada di libertà e di pienezza, un cammino d’amore per meglio conoscere se stessi e per meglio conoscere gli altri. Come ha scritto padre Francesco Occhetta nella prefazione del volume «la rilettura dei Dieci Comandamenti nasce dal desiderio di un confronto, al fine di aiutare a formare, in una costante ricerca, coscienze mature che hanno come obiettivo quello di trovare, migliorare, cambiare e rinnovare un insieme di condizioni che permettano a ciascuno di perseguire la propria realizzazione umana». I Comandamenti, come traspare dai contributi contenuti nel volume, ci parlano di relazione – in primis quella fra Dio e il suo popolo – di apertura agli altri, di libertà che si gioca e si realizza soltanto nell’incontro con l’Altro, sia con la A maiuscola che con quella minuscola.
In una società caratterizzata da un forte individualismo, da chiusure e steccati pronunciati e da un’indipendenza assoluta (dal latino ab-solutus, libero da condizionamenti o limitazioni) ricercata come soluzione di tutte le questioni, il Decalogo mostra al contrario una strada diversa e più interessante: la vera libertà, infatti, non è seguire l’egoismo che vive dentro di noi, non è cedere alle passioni sfrenate, ma è amare, scegliere pertanto ciò che è bene in ogni circostanza, credere e lavorare pervicacemente per un noi collettivo che spezza le solitudini e abbatte ogni sorta di barriere.
La pandemia causata dal Covid-19 (e tutto quello che essa sta significando sulle abitudini e sulle vite di miliardi di persone nel mondo) ce lo sta insegnando ogni giorno che passa: non c’è nessuno che possa salvarsi da solo, siamo tutti intrinsecamente legati da un’umanità comune e «l’alterità inscritta in ogni parola del Decalogo trova un’unità di senso in relazione con le altre, non c’è nessuna parola che esista da sola, anzi ogni azione e relazione prendono forma nell’insieme del Decalogo stesso». Le riflessioni contenute nel testo ripercorrono una per una le indicazioni date a Mosè: nella prima parte del libro vengono affrontati i cinque comandamenti che trattano della relazione intima di ciascuno/a con Dio padre. Nella seconda parte, poi, si percorrono le relazioni con gli altri e i legami sociali che sono alla base della convivenza civile e della realizzazione del bene comune.

Segni di questo tempo
I comandamenti sono una provocazione forte a passare dall’io al noi, per ripensarsi tutti insieme in un impegno comune per costruire un mondo più giusto e fraterno.
Il «non avrai altri dei di fronte a me» (Dt 5,7), ad esempio, mette in evidenza le grandi costruzioni ideologiche e totalitarie che hanno caratterizzato il XX secolo e quelle che oggi segnano più d’altre i nostri tempi difficili: il liberismo sfrenato e il populismo, entrambi segnati profondamente da una semplificazione e da un riduzionismo che annientano le differenze.
I giorni di festa da santificare richiamano all’utilizzo del proprio tempo libero, all’occasione per liberarne sempre più per noi stessi e per gli altri (vicini e lontani), così da non sprecarlo in atteggiamenti egoistici, svaghi annoiati e shopping compulsivo nelle nuove cattedrali che sono i centri commerciali. Ridare significato al proprio tempo significa impegnarsi per liberare gli uomini e le donne dalle moderne schiavitù (lavoro, soldi, successo, consumismo, etc…).
Il comandamento «non ruberai» assume una dimensione molto più ampia del semplice non sottrarre denaro ai tuoi vicini e conoscenti: rubare oggi significa togliere il futuro alle giovani generazioni, rubare loro la possibilità di uno sviluppo sostenibile distraendo risorse economiche e governandole in malo modo, lasciando che la criminalità organizzata prosperi, che la corruzione e l’evasione fiscale dilaghino, che l’illegalità non venga contrastata con efficacia e risolutezza.
Il «non pronuncerai testimonianza menzognera contro il tuo prossimo» (Dt 5, 20) parla oggi a tutti gli operatori della comunicazione, ai politici, alle persone che governano e che hanno potere sugli altri, chiedendo loro di abbracciare la complessità della realtà, mettendo da parte le fake news, gli slogan veloci, la faziosità che divide tutto in bianco e nero.
Infine, anche i comandamenti legati al desiderio – della donna altrui o della roba altrui – assumono un significato più ampio, individuando nel voler “possedere cose a dismisura” uno dei mali del nostro tempo. L’accumulazione di beni porta all’invidia degli altri, al desiderio malato di avere sempre più e di voler sottrarre, proprio perché gli altri non ne abbiano anche loro. Questa invidia e frustrazione sociale (individuale, ma anche fra nazioni e mondi culturali differenti) crea violenza, odio, vendette. «Quelle che chiamiamo pulsioni invidiose diventano importanti proprio perché dalle cose acquistate o conquistate dipende il riconoscimento sociale di cui si ha bisogno». Il volume suggerisce, invece, di riportare tutto dentro l’alveo di un desiderio generoso, che cerchi di difendere e proteggere se stessi e gli altri, donando e godendo di quello che si ha, aprendosi e condividendo, senza smanie di possesso.
Dall’io al noi
I Dieci Comandamenti, pertanto, non sono un inno al “no”, sono un “sì” che apre e dischiude la possibilità di un mondo nuovo. Un “sì” a Dio che si fa incontro all’uomo ogni giorno, un “sì” all’amore, un “sì” alla relazione: un passaggio obbligato dalla chiusura egoistica dell’io all’apertura a un noi comunitario e sociale, che chiede responsabilità e capacità di accoglienza e di ascolto.
«Rileggere il Decalogo e interpretarlo nell’epoca che si sta vivendo è stato un bisogno continuo dell’Occidente ed è naturale che lo si debba ripetere anche nel nuovo millennio. […] I Dieci Comandamenti sono alla base dei principi umani e delle società», interrogano sia la coscienza religiosa di chi crede sia la coscienza civile di tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà, di generazione in generazione, e sono parole scolpite nel cuore delle persone di ogni tempo.
Oggi chiamano in causa la responsabilità matura e adulta di ciascuno di noi – singole persone, insegnanti, educatori, formatori, imprenditori, amministratori e politici – per costruire un agire sociale che ci permetta di vivere “da fratelli e sorelle” nella comunità politica. Che implementi, cioè, sempre di più l’humanum come essere profondamente dialogico e relazionale.
Alberto Ratti