Ci sono luoghi travagliati dalla guerra e dalla violenza di cui tutti noi abbiamo sentito parlare decine di volte. Eppure nella nostra mente rischiano di rimanere posti che non ci riguardano, quasi come se il dolore di chi li abita fosse solo un fotogramma del telegiornale. Non è certamente così per sei giovani dell’Ac di Milano i quali, dal 25 settembre al 6 ottobre scorsi, hanno toccato con mano in Iraq il dramma della popolazione del Kurdistan iracheno che, a sei anni dalla liberazione dalla violenza dell’Isis, continua a vivere un’esistenza precaria e a pagare il prezzo di ingiustizie di cui non è responsabile. Grazie a un progetto organizzato in collaborazione con l’ong Terre des Hommes, i volontari milanesi – cinque ragazze e un ragazzo – per due settimane hanno lavorato nei campi per persone sfollate nella zona di Erbil, ascoltando così il loro dolore.
Il Kurdistan è una regione nel nord-est dell’Iraq che nel 2014 fu occupata durante l’offensiva dell’Isis. Fu liberata definitivamente solo nel 2017 e da allora ha ottenuto uno status di semi-autonomia federale. La regione è abitata in gran parte da popolazione di etnia curda ma ha una lunga storia di convivenza multireligiosa grazie alla presenza di cristiani assiri e caldei e di coloro che praticano l’antica religione yazida. «La gente ha subìto un assedio lungo e brutale, molti hanno avuto parenti uccisi, violentati o rapiti. Tutti portano un trauma emotivo», racconta Silvia Fraire, 22 anni, laureanda in Comunicazione interculturale, una delle giovani volontarie milanesi.
Condannati nei campi
Dramma nel dramma, a sei anni dalla fine delle violenze dell’Isis, esistono ancora 15 mila persone che sono costrette a vivere nei campi di tende e baracche. «Si tratta di famiglie prive di documenti, persi nella fretta di lasciare le loro abitazioni nella fuga dai terroristi. Oppure persone che, per il solo fatto di essere sopravvissute, sono sospettate di aver collaborato con l’Isis», racconta Giuseppe Franceschi, 23 anni, studente di Medicina. Inoltre, aggiunge Erica Michelon, 22 anni, prossima alla laurea in Statistica, «i bambini nati al tempo dell’Isis non sono registrati e il Governo non garantisce loro un nome e una carta d’identità». In queste condizioni, gli sfollati dei campi non possono lavorare né far studiare i figli e non hanno speranza di migliorare la loro condizione. «Non dobbiamo dimenticarli», dicono all’unisono i giovani volontari.
In questo contesto opera Terre des Hommes che organizza le scuole e offre attività di svago e aggregazione ai minori (che sono il 60% della popolazione dei campi). Particolarmente importanti sono i progetti per le adolescenti. «Sono ragazze molto consapevoli», dice Silvia Fraire. «Ci hanno confidato che poter continuare a studiare sarebbe la loro più grande aspirazione».
Vedere con i propri occhi
Miriam Ambrosini, 35 anni, è la coordinatrice di Terre des Hommes in Iraq ed è molto soddisfatta dell’esperienza di collaborazione con l’Azione cattolica: «È stata una bella occasione per i giovani milanesi che hanno potuto conoscere un Paese lontano e venire in contatto con problemi scottanti come la questione dei rifugiati e la condizione delle donne nei Paesi islamici. Credo che quest’esperienza li abbia aiutati ad andare oltre le informazioni spesso approssimative che vengono diffuse in Italia e che sono alla base di pregiudizi. Ma è stato arricchente anche per i nostri operatori iracheni che hanno incontrato persone portatrici di energia positiva». Le due associazioni intendono ripetere l’esperienza appena possibile, portando in Kurdistan altri giovani che poi possano sensibilizzare i loro amici sui problemi che hanno conosciuto.
Ma anche i sei giovani hanno un progetto: «Grazie a una campagna di raccolta fondi siamo partiti con 7 mila euro da destinare ai bambini. Avevamo l’impegno di decidere come impiegarli. Ci siamo resi conto che molti hanno problemi con la vista ma ci sono pochissimi occhiali», racconta Erica. «Quindi vorremmo iniziare a finanziare un progetto di screening oculistico e di fornitura di lenti che possa poi essere sostenuto da altri donatori. Anche vedere bene è indispensabile per continuare a studiare».
Articolo di Paolo Rappellino pubblicato sul settimanale Credere (www.credere.it) n.46 del 10 novembre 2023.