Le “Serate in Sant’Antonio” sono appuntamenti culturali e spirituali che animano l’omonima chiesa nel Centro diocesano Ac di Milano. Durante la Quaresima, l’Ac ambrosiana offre appuntamenti particolari e significativi. Il 17 marzo si è svolto l’incontro con padre Guido Bertagna sul tema “Nessuno ti ha condannata” Vie della giustizia riparativa e della dignità. Una riflessione sul capitolo VIII del Vangelo di Giovanni. Un itinerario che padre Guido Bertagna accompagna da anni, rivisitando soprattutto il dolore degli anni di piombo del terrorismo.
Il senso del perdono
La giustizia riparativa è diversa “da una normale sentenza giuridica che, il più delle volte, non guarisce le ferite. Non è il dolore del colpevole che ci fa stare meglio”. Questo il re Davide lo capisce amaramente nel Salmo 50: “Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato”. Davide riconosce le sue gravissime colpe, l’adulterio con Betsabea, moglie del suo amico Uria mandato da re Davide – un calcolo cinico – a sicura morte in battaglia. La colpa più grave di re Davide è quella di essersi sostituito a Dio pretendendo di fare giustizia delle relazioni.
Nel capitolo VII del Vangelo di Giovanni si intuisce che Gesù attraversa un momento difficilissimo. I giudei lo braccano, vogliono farlo tacere. È diventato pericoloso, le folle lo seguono, attorno a Gesù il cerchio si stringe, giorno dopo giorno. Sono molti i passi dove Gesù si aspetta una morte per lapidazione. Nel tempio i giudei gli portano una donna colta in flagrante adulterio. Il Deuteronomio prevede la lapidazione. Ai giudei non importa nulla della donna, ma nel tentativo di incastrare Gesù chiedono il suo giudizio. Il giudizio pone una distanza tra noi e gli altri, tra noi e l’ignoto e permette di rassicurare se stessi senza incorrere in delusioni o incertezze. La risposta di Gesù mette a disagio proprio le ragioni del giudicare.
Gesù incontra una donna che ha paura. Anche Gesù è turbato. La donna è doppiamente umiliata. Si uccide anche quando non si distingue il peccato dal peccatore. All’inizio Gesù non parla ma scrive in silenzio sulla terra. Secondo S. Agostino scrive le colpe dei presenti. Gesù, anche in questa circostanza, non si sostituisce al Padre. “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. Con quella frase Gesù costringe i presenti ad uscire dalla propria situazione. Lancia un appello per un viaggio con se stessi. Tutti i presenti se ne vanno senza condannare la donna. Anche Gesù non la condanna e la congeda con il consiglio di non peccare più. Gesù non è venuto a giudicare il mondo ma per salvarlo.
Agnese Moro e Valerio Morucci
Agnese Moro, figlia di Aldo Moro ucciso dalle Brigate rosse, e Valerio Morucci, carceriere dello statista, nel corso degli anni hanno intrapreso la strada, non facile, della giustizia riparativa diversa da quella penale. In un video, proiettato in chiesa, si ascoltano le loro testimonianze. “La giustizia penale – dice Agnese Moro – non cura il male che è rimasto in te. Il male non è inerte, lavora… e tu sei sola. Il male resterebbe padrone della tua vita, mentre la giustizia riparativa ha la capacità di scongelare, aprire il bubbone. Fa vedere il volto dell’altro”.
Valerio Morucci è stato il carceriere di Aldo Moro. Durante il sequestro, leggendo le lettere dello statista, si dissociò dalla decisione di uccidere Moro. A suo modo tentò di proteggere lo statista del quale, nonostante il suo compito di carceriere, si è sentito responsabile della morte. Per Morucci il carcere può sviluppare il paradosso di un senso di “protezione” che il condannato può provare per il fatto che con la sua detenzione paghi la pena. “Il cammino della giustizia riparativa è un’altra storia – afferma – e permette di fare i conti con se stesso, trovare la verità di se stessi, costruire delle relazioni autentiche che aiutano, favoriscono lo scongelamento. La giustizia riparativa è un cammino, non scontato e non sempre positivo, che coinvolge ambo le parti dove emerge l’ostinata fiducia nel credere che le persone possano cambiare. Un cammino che restituisce la parola al dolore ritrovando un ascolto. Solo l’incontro può aprire la possibilità di generare un cammino riparativo difficile, non scontato, ma possibile”.
Silvio Mengotto