Nel giorno unico che non conosce sera – «quello stesso giorno» di Pasqua- due discepoli impauriti e delusi lasciavano in fretta Gerusalemme, città ingannevole e insicura, che giustizia i profeti. Con il Maestro scomparso, anche i discepoli si dispersero. Ci accade sempre, nelle ore più difficili. Malati della sua assenza, discutevano di Lui, mentre con discrezione si faceva loro compagno di viaggio. Giunti alla locanda, la sorpresa fu colmata. Le parti, infatti, si rovesciarono. Non erano più loro a fare gli onori di casa, condividendo il pasto col pellegrino, ma lo stesso straniero a dare loro la propria parte. Furono loro ad essere nutriti. Ma chi era? E cosa c’era da comprendere?
Dicono che, alla fine, non ci hanno messo molto a decidere di partire. Giusto il tempo di guardarsi in faccia e di condividere un pensiero che apparteneva ad entrambi: Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture? (Lc 24, 32). Era un pensiero bloccato, arginato, trattenuto, che ciascuno aveva preservato per sé. Forse per pudore, forse per ritegno, oppure perché ciascuno dei due temeva di sbagliarsi. Sopraffatti dalla notizia della risurrezione di Gesù e insieme delusi per l’esito della vicenda, temevano che la mente, come talora capita, ideasse qualche stratagemma per abitare il disincanto, per liberarsi dalla delusione. Eppure, qualcosa non tornava. Camminando con quello straniero, avevano avvertito riaccendersi un fervore che avevano già sperimentato e che ora, in circostanze inattese, si ripresentava. Sapevano bene cosa significava l’ardore del cuore, ma ora non si capacitavano che sorgesse in quel viaggio, come e perché. Per questo avevano trattenuto il pensiero, senza farne parola. Quando, alla fine, lo condivisero, è bastato uno sguardo per decidere di partire e di ritornare in fretta a Gerusalemme.
Ci sono tante immagini con le quali abbiamo descritto le partenze della nostra vita. Pensiamoci! Talora ci ha colpito l’arrivo, talora l’inquietudine del viaggio stesso, poche volte, quello che è rimasto della partenza, come se non ne valesse la pena. È curiosa, pertanto, la scelta di Arcabas di fermarsi proprio qui, nella sua rappresentazione dei Pellegrini di Emmaus. Le stoviglie lasciate sul tavolo, i tovaglioli depositati in fretta, la sedia rovesciata. Giusto il tempo di spegnere le candele e partire. La porta è spalancata e il cammino si è già inoltrato, in una notte punteggiata di stelle. Risuonano nella memoria le antiche parole regalate ad Abramo: Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Ed egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. Ecco, le stelle di Abramo erano per loro, come la sua giustizia. Fu questa la loro felice meraviglia. Per questo, e non di meno, era giusto partire. Hanno spento le candele, come di chi sa che, prima o poi, tornerà ad accenderle, ad abitare quella casa, a rimettere in ordine ciò che si è lasciato nella confusione. Ma, intanto, è giusto partire. È ciò che vale anche per noi. «Non avremo altro da testimoniare se non le tue opere in noi. Ci fai tu stesso ciò che abbiamo da dire, mettendo già nelle nostre vite ciò che tu metterai sulle nostre labbra» (M. De Certeau).
Pasqua è passaggio e partenza. Fermiamoci a pensare ai passaggi e alle partenze. Ce ne sono di drammatiche nella nostra vita, in cui tutto è lasciato sottosopra, sopraffatto dalla paura; ce ne sono di dolcissime, dove l’ardore del cuore ha trovato giusto il tempo di spegnere le candele. Si ritornerà, un giorno, forse, a sistemare. Ma, ora, l’ordine del cuore detta una diversa urgenza, quella di una inderogabile partenza. Nella Chiesa, nel mondo, forse, ci troviamo qui. Su questa soglia. È sempre la Pasqua del Signore.
Don Cristiano Passoni