Cita i “milanes de Porta Cicca”. Sottolinea che “i milanesi sono già ‘bauscia’ per conto loro” (“e non hanno bisogno dei miei complimenti, ma la speranza di questa nostra terra ospitale è che tutta la gente che vive a Milano faccia proprie le virtù dei milanesi e cerchi di evitare i loro difetti, perché questa terra vive per il contributo di tutti”). Rimarca “quell’umorismo milanese che sdrammatizza con benevolenza, corrode i miti del grandioso, sa prendere le distanze dalle mode imposte dai social, si prende gioco della presunzione e dell’esibizione”. Il Discorso alla città che mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, pronuncia in Sant’Ambrogio il 6 dicembre, vigilia patronale, ha quest’anno qualche garbato e piacevole “tocco in più” di milanesità.
Discorso intenso, giocato sul filo della “gentilezza” una delle virtù necessarie, costruttive, persino “strategiche” in questo tempo sofferto di pandemia.
“…con gentilezza – Virtù e stile per il bene comune” il titolo dell’intervento, pronunciato davanti alle autorità civili, ai rappresentanti della Chiesa ambrosiana, del laicato aggregato, di altre confessioni cristiane e fedi religiose.
Il “Discorso alla città” rivolto da mons. Delpini prende spunto da un brano del patrono di Milano:
“…la bontà è accetta e gradita a tutti, e non c’è nulla che più facilmente penetri nel cuore umano. Quando si accompagna alla dolcezza e alla mitezza del carattere, oltre alla moderazione nel comando e all’affabilità nel parlare, all’efficacia nell’esprimersi ed anche al paziente ascolto nella conversazione e al fascino della modestia, riesce a guadagnarsi un affetto di incredibile intensità…”.
L’arcivescovo analizza quindi con puntualità alcune caratteristiche del tempo presente, insiste sull’importanza e la delicatezza dell’esercizio della responsabilità (indicando nella figura biblica di Davide l’icona di riferimento). Seguono tre capitoli: la lungimiranza, la fierezza, la resistenza, sempre riletti nella chiave della gentilezza.
“In questo nostro tempo confuso, di frenetica ripresa e profonda incertezza, che tende a censurare un vuoto interiore, chi ha la responsabilità del bene comune è chiamato a essere autorevole punto di riferimento con discorsi seri e azioni coerenti, con la saggezza di ricondurre le cose alle giuste dimensioni, di sorridere e di far sorridere. In un tempo di suscettibilità intrattabile e di esplosioni di rabbie irrazionali, chi ha responsabilità deve tenere i nervi saldi, esercitare un saggio discernimento per distinguere i problemi gravi e i pretesti infondati”, afferma Delpini. “In un tempo di aggressività pubblica e privata, di drammi terribili tra le mura di casa e di violenze crudeli, chi si cura della giustizia e della difesa dei deboli deve cercare di capire, di prevenire, di porre condizioni per arginare reazioni furiose e comportamenti delittuosi. In un tempo di fatica esistenziale per tutti, per il crescere dell’ansia, a seguito della interminabile pandemia, occorre uno stile nell’esercizio dei ruoli di responsabilità che assicuri e rassicuri, che protegga e promuova, che offra orizzonti di speranza”.
Nel capitolo dedicato alla lungimiranza, appare il deciso invito a guardare oltre l’immediato per “individuare vie da percorrere” a livello comunitario (città, territorio). Nel contributo che – in tale direzione – il vescovo offre, “con convinzione e modestia”, figura anzitutto una “priorità”: “promuovere la famiglia”. Segue l’indicazione di una “emergenza”: “offrire ai giovani buoni ragioni per desiderare di diventare adulti”. Poi due “sfide”: ambiente e lavoro, peraltro correlate tra loro. Ognuno di questi punti viene poi affrontato in altrettanti e ricchi paragrafi.
Il discorso prevede un secondo capitolo centrato sulla “fierezza”, declinato in tre sottolineature: “non lasciamoci cadere le braccia”; esprimere gratitudine e riconoscenza; “promuovere la partecipazione”.
Il terzo capitolo punta sul tema della resistenza, con due paragrafi: “elogio agli artigiani del bene comune” e “resistere alle insidie”.
In uno dei passaggi-chiave del discorso, mons. Delpini afferma: “La complessità delle situazioni, l’insistenza della comunicazione pubblica e dei social nel gridare la gravità dei problemi, nel mettere in evidenza fatti di cronaca orribili e sentimenti di rabbia inducono a un senso di scoraggiamento, di rinuncia, di sfiducia nel futuro e nell’umanità. Noi, però, celebriamo sant’Ambrogio come patrono e dichiariamo che fa parte della nostra identità ambrosiana il trovarsi a proprio agio nella storia. Non possiamo essere rinunciatari perché siamo consapevoli di essere al mondo non per essere serviti, ma per servire: la vita è una missione, non l’aspettativa che siano soddisfatte le nostre pretese. Non possiamo chiuderci in noi stessi, costruendo mura per la nostra sicurezza, perché siamo convinti che la sicurezza di un popolo, di una città, di una famiglia, di una persona non dipenda dal suo isolamento, ma dalle relazioni di buon vicinato e dalle alleanze da stabilire e da onorare”.
Nel paragrafo successivo, sulla riconoscenza, aggiunge: “Questo atteggiamento costruttivo e intraprendente merita la gratitudine di tutti. E io mi faccio voce della gente che ringrazia coloro che si fanno avanti per assumersi responsabilità nella nostra vita sociale”.
Verso il termine del discorso (che annuncia per il 2022 la visita pastorale nella città di Milano), il vescovo Mario dice: “Invoco ogni benedizione di Dio per tutti i fedeli della diocesi ambrosiana e vorrei essere io stesso benedizione gentile per tutte le comunità che mi è dato di visitare”.
“È mio desiderio incoraggiare tutti nella pratica della lungimiranza, fieri della nostra identità ambrosiana e proprio per questo forti nel resistere a ogni illegalità, tentazione divisiva, mancanza di speranza, certi che la potenza d’amore dello Spirito continua ad abitare anche la nostra Milano facendo germogliare infiniti semi di bene”, ha affermato l’arcivescovo. “Invoco ogni benedizione di Dio per tutti i credenti di ogni confessione cristiana, per i credenti della comunità ebraica, per tutti i credenti di ogni religione, per tutti gli uomini e le donne di buona volontà”. Ancora: “Siate benedetti voi che sapete guardare avanti e diffondere fiducia con la serietà e la gentilezza delle persone per bene, come artigiani del bene comune. Siate benedetti voi tutti che avete stima di voi stessi e che perciò vi fate avanti per l’impresa di aggiustare il mondo, con determinazione e gentilezza, e trovate insopportabili e ridicole l’arroganza e la presunzione. Siate benedetti voi che siete forti e sapete resistere nelle prove e respingere, non con proclamazioni vuote e dimostrazioni inutili, ma con gentile fermezza, le tentazioni e cercate con tutte le forze di sradicare la malapianta della malavita e della corruzione”.
“Siate benedetti tutti, voi uomini e donne, di ogni popolo e lingua, di ogni condizione e in ogni situazione: il nostro santo patrono Ambrogio vi incoraggi con il suo esempio, interceda per voi presso Dio e vi raduni come un popolo che sa lavorare, sa sperare e sa cantare”.
Nel segno della gentilezza e del sorriso, il discorso si chiude con una bella e divertente barzelletta sulla “milanesità”. Risate e un grande applauso fanno da cornice all’intervento dell’Arcivescovo.