È più di un anno ormai che il virus ha iniziato il suo diffondersi nella nostra società, nelle aziende, nelle famiglie, tra gli anziani così come tra i giovani: non è stato risparmiato nessun ambito, compreso quello scolastico. Da studentessa potrei raccontare come, durante il primo lockdown, il sistema scolastico fosse tutto fuorché efficace: potrei sottolineare il fatto che, in un liceo classico, facessi una lezione di latino alla settimana, nemmeno tutte le settimane, e che quindi ora io mi ritrovi effettivamente priva di una buona parte di programma. Non voglio però parlare di cosa si sarebbe potuto fare meglio, ma di come, a distanza di un anno, la scuola sia effettivamente cambiata. È innegabile che si siano fatti numerosi passi avanti: lezioni giornaliere da 5 a 6 ore, verifiche e interrogazioni online; l’intero sistema scolastico si è spostato sul computer. Purtroppo per gli studenti che speravano in qualcosa di più leggero, le lezioni sono sempre incalzanti e molto nozionistiche dal momento che il professore ha l’occasione di spiegare in condizioni ottimali per l’apprendimento disponendo di un canale comunicativo quasi sempre indisturbato, perfetto per una lezione frontale.
La Dad ha permesso anche un cambiamento all’interno del sistema delle valutazioni: per chiare ragioni che coinvolgono la trasparenza e la serietà degli studenti, le interrogazioni e le verifiche si sono dovute adattare. Non si ricerca più la sola restituzione di dati, ma si privilegia un dialogo costruttivo che implichi il ragionamento e la rielaborazione personale. Grazie a questo cambiamento è risultato evidente come la scuola non si dovrebbe limitare ad assegnare giudizi e voti, ma dovrebbe accompagnare gli studenti nel loro periodo di crescita, reso ancora più difficoltoso dal virus. Dal punto di vista delle conoscenze, dunque, la nuova forma di didattica a distanza ha davvero molto poco da invidiare alla normale didattica in presenza.
La formazione scolastica di uno studente, tuttavia, non è composta solamente dall’apprendimento di mere nozioni, ma anche di competenze e di capacità che si sviluppano dall’interazione e dal rapporto con gli altri. Un computer non sarà mai il tuo vicino di banco, così come non sarà il compagno antipatico con cui discutere su ogni questione. Per quanto sia facilitato l’apprendimento nozionistico e la spiegazione sia più chiara, nella DAD viene profondamente trascurato l’aspetto della socialità umana, dello scambio di idee e del lavoro di gruppo. È un dato di fatto: nessuno ne è responsabile, la tecnologia ha i suoi limiti ma, almeno per ora, essa è tutto ciò che abbiamo per poter continuare gli studi in modo sicuro.
Le relazioni sono necessariamente cambiate, gli abbracci sono stati sostituiti dagli stickers, i sorrisi dai meme e la rabbia e la tristezza da ore di audio su WhatsApp. Non significa che non esista più un vero rapporto con l’altro, significa solamente che il rapporto stesso, per poter continuare, si è necessariamente trasformato: ogni interazione, ogni pensiero passa attraverso la tecnologia. Il nostro migliore amico è diventato internet, colui che ci permette di relazionarci con gli altri. Nonostante tutto, la volontà di confrontarsi con i pari e ridere con gli amici, com’è giusto che sia a 16 anni, non si è per nulla attenuata, anzi, è ancora più forte. Ogni studente, giorno dopo giorno, deve affrontare la sfida del crescere e, a causa della distanza sociale, i problemi sembrano a volte troppo grandi per un solo, piccolo, essere umano, ma fortunatamente la tecnologia stessa, per quanto limitata, ci permette di stare in contatto, di parlare dei nostri problemi e di cercare insieme soluzioni in chiamate di ore nonostante il bruciore agli occhi e il mal di schiena.
Stare davanti a uno schermo per più di metà giornata ogni giorno, infatti, che sia per scuola o per le amicizie, è tutt’altro che semplice: mal di testa, male agli occhi, alla schiena. Ma non solo. La solitudine si fa sentire, spesso più del male fisico, così come il distacco effettivo dal resto del mondo. Continuare a studiare e a seguire le lezioni, giorno dopo giorno, in questo stato fisico ed emotivo, non è semplice, ma io vedo ogni giorno le caselline dei miei compagni su Meet, sento le loro interrogazioni e i loro interventi. E pensare che tante persone credono che dopo l’appello si dorma; fidatevi, se qualcuno volesse davvero dormire di certo non si sveglierebbe solo per l’appello. A parte gli scherzi, posso dire che non solo io, ma anche tutti i miei compagni, stiamo cercando di dare il meglio.
Purtroppo, però, nonostante la fatica di questi lunghi e difficili mesi, a tutti noi studenti viene addirittura ventilata la possibilità di ‘recuperare’ prolungando la scuola fino a giugno quando l’unica cosa da recuperare sarebbero le relazioni umane. Mi pare di comprendere quindi che tutti gli sforzi fatti dagli studenti vengano considerati vani, che questo periodo in didattica a distanza sia considerato solo una sorta di soluzione per passare il tempo. Così dopo mesi d’impegno e sacrifici, gli studenti dovrebbero anche dire addio a una buona parte di estate, rinunciare ai momenti di socializzazione di cui sono stati così a lungo privati? Come ho detto la scuola non è solo apprendimento, ma anche relazione. I rapporti umani sono stati quasi cancellati per mesi e ora ci viene detto che, nonostante tutto l’impegno, chiaramente non considerato, dovremmo rinunciare ulteriormente a vivere esperienze diverse dallo svegliarsi ogni mattino e accendere il computer. Credo sia piuttosto sconfortante per gli studenti, così come per i docenti, sentire che il loro percorso, il loro lavoro, quando vengono considerati, godono di una così scarsa considerazione.
Ognuno vorrebbe ritornare a prima della diffusione del virus, ma sappiamo bene che non è possibile. Il Covid-19 è ormai una realtà e dovremmo imparare a convivere con esso, perché non scomparirà improvvisamente da un giorno all’altro. Immagino quante persone rimpiangono la vita senza Coronavirus, io in primis sto trascorrendo, chiusa in casa, quelli che tutti dicono dovrebbero essere gli anni più belli della mia esistenza. Tante persone soffrono, muoiono. Tutti stiamo rinunciando a un pezzo di vita, a un pezzo di noi.
Potremmo scrivere libri interi in cui ci lamentiamo e ci rammarichiamo per i bei vecchi tempi, ma sinceramente io preferisco cercare di trovare una soluzione e tentare di trarre il meglio da questa situazione. Non posso andare al cinema con i miei amici? Ok, ma posso sempre fare una chiamata con loro, decidere di leggere un libro e discuterne insieme o semplicemente guardare la stessa serie. Si può cucinare insieme, studiare insieme e addirittura darsi lezioni di chitarra, anche se i risultati non sono sempre garantiti. Effettivamente, ripensandoci, chi l’ha detto che questi non possono essere comunque gli anni più belli della mia vita?
Elena Pomoni, 16 anni