Giocare con i mattoncini Lego ha incantato generazioni di bambine e bambini. Anche noi adulti possiamo e dobbiamo fare le stesse operazioni con il pensiero, esercitandoci a de-costruire e ri-costruire i nostri schemi, di cui non dobbiamo chiedere scusa se fanno parte di noi, ma che spesso ingabbiano la realtà in strutture troppo semplificate.
La sociologa Paola Lazzarini Orrù ci ha presentato, nella prima serata della Piccola scuola MAI SENZA DI TE a Gallarate, questa arte della de-costruzione di stereotipi e di purificazione del linguaggio, a vantaggio della giustizia di genere. L’intento femminista infatti non è quello demolitore, ma è uno scavo del pensiero e una riforma delle prassi per relativizzare ciò che sembra assoluto, dominante, totalizzante, e invece è solo parziale, è un punto di vista – quello maschile appunto. Questo lavoro è molto salutare anche per il pensiero teologico e in generale dei credenti. Non è un esercizio di rivendicazione: è in gioco invece la giustizia (e quindi il Regno di Dio!), il bene comune, e in fondo lo stare dalla parte di quelli che spesso il mondo considera “gli ultimi”. Come dice Lucia Vantini, presidente del CTI (Coordinamento delle Teologhe Italiane): “Il femminismo è l’unica rivoluzione in cui non si contano i morti, ma solo le vite risvegliate”.
La relatrice ci ha così accompagnati a leggere i più recenti dati Istat, che vedono un progressivo miglioramento riguardo alle aspettative di ruolo; ci ha fatto esercitare a scovare qualche pregiudizio che abita le nostre conversazioni e i titoli di giornale; abbiamo provato a cambiare punto di vista, leggendo al rovescio e con ironia ciò che di solito attribuiamo al femminile o al maschile. Ci ha fatto addentrare nella complessità del femminismo “intersezionale”, che aiuta tutti e tutte a de-categorizzare il nostro modo di vedere la realtà: non per gruppi astratti ma i singoli individui; non ciò che ci separa ma ciò che ci unisce…
Anche nella Chiesa dunque ci sono alcuni stereotipi da decostruire con pazienza, e un linguaggio da affinare. Dopo questa serata, dal taglio competente e sociologico, a me sono venuti in mente questi, su cui continuerò a lavorare, per provare ad andare piano piano oltre al “già noto”:
- starò più attenta quando i discorsi sono “sulla donna” e non sulle donne, quando si tende a generalizzare e a stereotipare la donna, non vedendo le sfumature, la complessità e soprattutto la diversità tra le donne (quante donne non sono per niente “tenere e materne”, quanti uomini non sono per niente “mascolini” – per stare appunto nello stereotipo); connesso a questo, starò più all’erta, e interverrò, quando qualcuno dirà che le vocazioni cristiane siano semplicemente il matrimonio o la verginità: penso alle tante amiche non sposate e non consacrate, e alla bellezza, originalità e compiutezza delle loro vite… l’unica vocazione è quella cristiana, i modi di esprimerla sono pluriformi, e storicamente connotati.
- il linguaggio sacerdotale attribuito indebitamente in esclusiva ai presbiteri (chiamati appunto “sacerdoti”), che indebolisce la consapevolezza del sacerdozio universale dei credenti (tutti e tutte siamo re, sacerdoti e profeti grazie al Battesimo), e rafforza invece l’immagine sacrale di chi ha il ministero ordinato.
- devo approfondire l’idea o stereotipo di leadership femminile, senza cadere nella retorica del potere o al contrario della resa, della remissività; in mezzo c’è il mondo interessante e promettente dell’assertività femminile, della cura autorevole, della parola esperta…
- essendo mamma di due bambine e di un bambino, ragionerò più a fondo sul mio ruolo di educatrice, assieme a mio marito, nella differenza di genere dei nostri figli. Considerando che ciò che dice il genitore al suo bambino\a, sarà ciò che lui e lei stessa, crescendo, continuerà a dire a sé.
Quanti pensieri liberi e liberanti, quante intuizioni attivate! Facciamo pace sul fatto che anche il nostro sguardo di donne è parziale, ma almeno non vuole essere il tutto. Perché riconosce che gli immaginari su uomini e donne, e su Dio, a cui siamo affezionati, possono essere idoli. Possiamo cogliere qualcosa della verità, ma essa ci supera sempre, e saremmo arroganti se invece volessimo definire le vite e i destini, nostri e degli altri. Le donne cristiane cercano di riposizionarsi, e quindi anche tanti credenti uomini lo stanno facendo, scoprendosi compagni di viaggio uguali nella dignità e nelle opportunità, diversi su tanto altro. E questo è una festa, è un cammino di vite risvegliate e liberate.
Un grazie speciale alla mia mentore e amica Maura Bertini, ad AC, Donne per la Chiesa, Decapoli, Spazio Asmara.