Mi lascio interrogare dalla domanda su chi sono gli adolescenti. E soprattutto chi sono gli adolescenti oggi, nella pandemia che sta provando tutti noi.
Il primo punto da considerare è questo: l’adolescente è una persona.
Ha un nome, un volto, una storia, una personalità originale. Vorrei tentare di relativizzare le categorie che tanto spesso adottiamo per la lettura della realtà. Sono inevitabili semplificazioni, che non riescono a comprendere tutto l’esistente. L’adolescente è una persona originale, unica e irripetibile sotto ogni aspetto. Che noi possiamo incontrare in una particolare stagione o situazione della vita. Il rischio che tutti corriamo è quello di ricondurre la straordinaria complessità della realtà a schemi semplificanti che altro non sono che la proiezione teorica della nostra visione delle cose. Applichiamo spesso degli schemi e solo molto raramente facciamo attenzione a chi siamo noi e in quale stato ci troviamo quando incontriamo un adolescente o quando viviamo una certa situazione. Possiamo studiare l’adolescenza come particolare stagione della vita, come processo di crescita attraversato da ogni persona. Ma questo non ci solleva dall’impegnativo ed entusiasmante compito di incontrare l’adolescente. Uno ad uno. Nessuno escluso.
Un secondo elemento che vorrei portare alla nostra attenzione è sui concetti che facilmente associamo all’esperienza dell’adolescenza.
In questi ultimi mesi – e a ragione – la parola che più associamo agli adolescenti nei discorsi che li riguardano è la parola dispersione. Alla cronica dispersione sociale – siamo una società liquida, per alcuni fluida, per altri evanescente come un gas –, si aggiunge la dispersione educativa – già denunciata nei termini di una vera e propria emergenza – di cui la dispersione scolastica è una delle espressioni più preoccupanti. Nella situazione pandemica stiamo sperimentando un’ulteriore forma di dispersione: quella didattica, provocata dalla difficoltà di accesso alla rete e aggravata dalla impossibilità di attenzione e concentrazione dovuta al contesto abitativo e famigliare. Lo stato di dispersione in cui non pochi adolescenti si trovano a vivere rischia di amplificare una fragilità che oserei definire fisiologica. Proprio perché l’adolescente è una personalità in cambiamento, in crescita, strutturalmente squilibrata per la necessità di cercare un piano di appoggio sicuro al passo successivo da compiere. L’adolescente non sperimenta uno stato di stabilità. Ma di ricerca, di sperimentazione, di confronto e conflitto con l’ambiente che lo circonda. Questo squilibrio fisiologico è necessario al costruirsi, allo sperimentarsi, al progettarsi.
A questo punto vorrei condividere con voi una domanda: in quale ambiente un adolescente sta crescendo? Mi pongo questa domanda perché la parola dispersione – a mio modo di vedere – interroga anche noi adulti. Forse anche noi siamo seriamente dispersi. Forse anche la generazione adulta di cui facciamo parte vive in uno stato di dispersione. L’adolescente che ha bisogno di sperimentare un ambiente con cui potersi confrontare e identificare o da cui maturare addirittura un distacco e un rifiuto, rischia di doversi confrontare con un ambiente talvolta inconsistente e inaffidabile.
Lo stato di dispersione riguarda sia l’ambiente materiale che l’ambiente virtuale.
Sappiamo anzi che l’ambiente virtuale può essere oggi il setting preferenziale in cui svolgere i compiti di crescita tipici dell’adolescenza. Ma quella che sembra una soluzione si rivela essere un miraggio. Non è infatti possibile virtualizzare la dimensione corporea. È il corpo l’insostituibile porta di accesso alla realtà. Compresa la realtà della nostra identità personale.
Aggiungo un’ultima breve considerazione. Come stanno uscendo gli adolescenti da questa esperienza di pandemia?
Le ricerche, le analisi e i dibattiti si sprecano. Come educatori siamo impegnati a capire la situazione e ad intuire un possibile tracciato per la ripresa dei cammini educativi. Ho l’impressione che gli adolescenti siano come vulcani spenti. Questi mesi di prolungata sospensione, che non sono stati mesi di vacanza ma di paura e di preoccupazione generalizzata, li hanno raffreddati drasticamente. Il motore è nuovo, perfetto, innovativo. Ma è stato fermo per troppo tempo. Deve accendersi la scintilla. E certamente si accenderà.
Nel titolo ho citato la comunità cristiana. Alla domanda sul come ripartire vorrei aggiungere questa: con chi ripartire?
La comunità cristiana adulta ha urgente bisogno di confermare la scelta educativa e di ricominciare con gli adolescenti. Non dico dagli adolescenti. Come se gli adolescenti fossero materia prima inerte. Ma dico con gli adolescenti. Con loro.
Il primo passo può essere questo: prendere l’iniziativa di chiamare per nome. È necessario che la comunità assuma un atteggiamento di attenzione seria, che dalla comunità parta un invito sincero. E soprattutto che la comunità – nel suo insieme – si interroghi sul suo stato di salute per lavorare su di sé, sulle proprie motivazioni e capacità. Comunità educante ci sei?
Il secondo passo che mi sento di suggerire è di coltivare l’autorevolezza educativa. Per incontrare e accompagnare un adolescente non serve sempre una competenza specialistica. Ma serve sempre diventare persone affidabili. Spesso l’intervento specialistico arriva tardi, troppo tardi. Esistono invece dei veri e propri buchi neri educativi, pericolosi spazi neutri che non sono presidiati da nessuno e che hanno la capacità di risucchiare gli adolescenti. Cosa intendo dire: che torna ad essere fondamentale la presenza educativa. Torna ad essere fondamentale essere con loro. Stare con loro. Cosa possiamo fare per gli adolescenti? Forse quello che possiamo fare è la cosa più semplice, che cerchiamo di fare da sempre: fare Chiesa con loro.
Il terzo passo che vorrei suggerire è quello che ci porta oltre lo scoraggiamento e l’improvvisazione. Abbiamo bisogno di capire il mondo vitale degli adolescenti. Non possiamo più affidarci alle consapevolezze e alle consuetudini passate. Il mondo in cui viviamo oggi è complesso. La soluzione non sta nella semplificazione arbitraria ma nell’impegno della conoscenza e della interpretazione. Aiutiamoci. Possiamo farlo. Tutti insieme.
Don Stefano Guidi
direttore Fom, Fondazione oratori milanesi