Se volessimo trovare una espressione che meglio identifica il mondo del lavoro durante il periodo pandemico quella sarebbe sicuramente “smart working”. Tutti ne hanno parlato almeno una volta ma, molto spesso, senza conoscerne la natura giuridica che risulta invece una essenziale base di partenza per cogliere gli aspetti rivoluzionari della misura.
La domanda “che cosa è lo smart working?” è al centro del progetto “IL FUTURO DEL LAVORO: come, dove, quando?” e dei suoi relativi approfondimenti.
L’espressione Smart working
Innanzitutto, l’espressione “smart working” all’interno del nostro ordinamento non è presente. Questa espressione è spesso utilizzata in maniera più accattivante per indicare quello che, in base alla legge del 22 maggio 2017, n. 81 (artt. 19-24), è definito come “lavoro agile”. Questa espressione rimanda appunto ad una dimensione di agilità che, a contrario, il legislatore non trova nelle forme più tradizionali di lavoro. È quindi importante comprendere il perché si voglia indentificare con questo aggettivo – “agile” – tale tipologia di lavoro e quindi è essenziale domandarsi: che cosa è il lavoro agile?
Il lavoro agile
In base alla legge il lavoro agile è definito come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. Inoltre, a questa definizione si deve aggiungere che “la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. In poche righe è quindi chiara, vista l’enorme quantità di elementi di discontinuità rispetto al lavoro di stampo taylor-fordista, il motivo che fa sì che il lavoro agile sia identificato come rivoluzionario pur rimanendo una modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato. Infatti, è possibile identificare alcune caratteristiche fondamentali in discontinuità con il lavoro subordinato tradizionale: la regolazione tramite accordo individuale, l’assenza di un orario di lavoro rigido e di un luogo di lavoro determinato, il diverso adempimento di obbligazioni essenziali del rapporto di lavoro quali salute e retribuzione.
La prestazione individualizzata
Partendo dal primo aspetto, è fondamentale mettere a fuoco come il lavoro agile è inteso come una modalità di svolgimento della prestazione altamente individualizzata. L’accordo individuale infatti rappresenta il centro della disciplina regolativa del rapporto proprio perché tale modalità di lavoro viene intesa come finalizzata ad adattarsi alla dimensione individuale del lavoratore. All’interno di tale accordo la legge prevede che le parti definiscano le forme di esercizio di potere direttivo, i tempi di riposo del lavoratore, gli strumenti utilizzati dal lavoratore e le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la sua disconnessione delle strumentazioni tecnologiche di lavoro, le condotte sanzionabili e l’eventuale diritto all’apprendimento. Insomma, se da una parte il rapporto di lavoro tradizionale risulta fortemente caratterizzato da una regolamentazione collettiva, il rapporto svolto in modalità agile è invece definito da una disciplina individualizzata, spesso comunque sostenuta da una disciplina collettiva di secondo livello.
I vincoli di tempo e luogo
In secondo luogo, è possibile affrontare quello che costituisce senza dubbio l’elemento di maggiore differenza con il rapporto di lavoro tradizionale: l’assenza di particolari vincoli di orario e luogo di lavoro. Lo smart worker, infatti, è inteso come un lavoratore che svolge la sua prestazione non guardando l’orologio ma valutando gli obiettivi da raggiungere e che, di conseguenza, gestisce l’orario in maniera autonoma, garantendo, in alcuni casi, la sua reperibilità. Inoltre, lo stesso operatore agile non ha una postazione fissa di lavoro ma è in grado di adempiere ai suoi obblighi contrattuali da casa, da un’altra sede aziendale o da un luogo pubblico, comunque in un’ottica di alternanza rispetto alla presenza in sede. Tale assenza di vincoli, oltre a rappresentare un’arma a doppio taglio per il lavoratore che è più libero nel definire il proprio lavoro ma anche più responsabile dello stesso, rappresenta un duro colpo al concetto stesso di lavoro subordinato come l’abbiamo sempre conosciuto. Il lavoro agile, spostando l’attenzione dal tempo lavorato a quanto prodotto in quel tempo (“fasi, cicli, obiettivi”) conduce verso una concezione di lavoro non più retribuita ad ore ma a risultati raggiunti. In altre parole, il lavoro agile avvicina di molto il lavoro subordinato al lavoro autonomo riscrivendo la geografia del lavoro e ponendo, potenzialmente, il lavoratore in una nuova dimensione non regolata e suscettibile di abusi.
La normativa di salute e sicurezza
Infine, il lavoro agile introduce un elemento di enorme novità anche per ciò che riguarda gli adempimenti relativi alla normativa di salute e sicurezza e al principio di parità di trattamento retributivo. Infatti, rispetto a quanto concerne gli adempimenti in ambito di salute e sicurezza, in base agli obblighi legali il datore di lavoro è tenuto a fornire allo smart worker un’informativa scritta relativa ai rischi generali e specifici connessi a questa particolare modalità di lavoro. Questi adempimenti mostrano una forma di tutela della sicurezza coerente con un’idea di lavoro individualizzato e “leggero”. In più, è necessario ricordare che tra le misure incentivanti del lavoro agile durante la pandemia vi sia l’esenzione di questo obbligo tramite il rimando alla consultazione della medesima informativa sul sito dell’INAIL. Ne deriva, ad oggi, un’infrastruttura di tutele in ambito di salute e sicurezza molto leggera. Per quanto riguarda invece l’aspetto retributivo è interessante sottolineare come, pur essendo chiaramente definito nella legge 81/2017 (art. 17) il principio di parità di trattamento, in alcuni casi, come quello della corresponsione dei buoni pasto, lo smart working ha posto degli interrogativi nuovi. Il rischio è ovviamente quello di una ulteriore divaricazione tra il lavoro tradizionale e lo smart working.
In conclusione, da questa breve analisi degli aspetti normativi del lavoro agile emerge come non si tratti di un semplice passaggio da una modalità di svolgimento della prestazione ad un’altra bensì di una vera e propria rivoluzione che mette in discussione gli elementi essenziali del lavoro (e quindi della società) che abbiamo sempre conosciuto.
Giacomo Pigni della Commissione Lavoro